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Quella necessaria cura “costituente”

È indiscutibile che la coalizione di centrodestra che ha vinto le elezioni politiche del 2001 si è logorata, anche se continua a mostrare una vitalità (vedi le elezioni a Catania) sulla quale si potrebbe fondare la consapevolezza che, lavorando bene, è possibile risalire la china.
Tuttavia la stagione dei facili entusiasmi è tramontata. Lo dimostrano le recenti sconfitte, lo testimonia lo sbiadimento della sua leadership che non ha dato segni di resipiscenza o di reattività in occasione delle numerose battute d’arresto che, complessivamente considerate, possiamo ritenerle capitoli di una sconfessione politica le cui cause prossime sono da ricercare nella progressiva perdita del consenso, mentre le ragioni remote vanno attribuite all’assenza di un autentico spirito coalizionale che ha fatto fermentare risentimenti, rancori, disaffezioni cui si sono accompagnate alcune scelte politiche infelici soprattutto sul piano economico ed istituzionale. Allora sarà bene dire subito che la malattia che ha contratto il centrodestra è quella di non essersi mai pensato come un soggetto politico unitario.

L’insufficiente visione della coalizione ha portato tutti i soggetti a coltivare le loro specificità di interessi coprendosi vicendevolmente ed evitando accuratamente di dare un respiro strategico alla Casa delle libertà. In questo modo è cresciuta in ogni partito l’insofferenza fino ad esplodere nella crisi che i recenti rovesci elettorali hanno evidenziato. Si è affievolito quello spirito innovatore che pure aveva alimentato speranze cospicue nel 1994 e che è stato dissipato dalla ricerca della differenziazione talvolta perfino su questioni marginali. In altri termini, l’identità dei partiti non si è manifestata come una ricchezza della coalizione, ma come un fattore di fibrillazioni continue e costanti. E ciò è paradossale se si considera che le “anime” del centrodestra avrebbero potuto (e potrebbero ancora se lo volessero) convivere nella prospettiva di rappresentare l’Italia profonda della quale interpretano, sia pure in maniera diversa, le richieste di modernizzazione e di sviluppo connesse alla salvaguardia della sua tradizione storica e culturale.

Tutto ciò sembrava chiaro alla vigilia delle elezioni del 2001. Conviene, comunque, al punto in
cui sono le cose, per dare un contributo sperabilmente positivo al dibattito in corso, da dove può rinascere il centrodestra e se l’attuale struttura è ancora integra, in grado cioè di assorbire le fratture che si sono manifestate. L’integrità della struttura dipende dalla volontà dei diversi soggetti di ricercare le ragioni dell’unità e farle prevalere su quelle della divisione. È naturale che se qualcuno dei soci fondatori immagina percorsi diversi ed inconciliabili con quelli delle altre forze della coalizione questa non esiste più. Ed allora sarebbe meglio arrivare ad un chiarimento definitivo anche in ordine al soggetto unitario del quale si discute. Al contrario, se nessuno dei soggetti interessati immagina per se stesso un avvenire diverso da quello della coalizione – salvo la Lega, forse, con la quale sarebbe bene precisare i termini del rapporto e rinegoziare i patti – i margini per la ricomposizione del centrodestra vi sono a condizione che essa venga supportata da un’adeguata analisi della crisi che l’ha colpito e conseguentemente dalla elaborazione di un nuovo “patto” tra i partiti fondato su un progetto strategico di ampio respiro. Insomma, se la ricomposizione del centrodestra passa attraverso la definizione di un riformismo possibile in campo istituzionale, economico e sociale ha buone speranze per riuscire; diversamente si condannerà alla sopravvivenza fino a quando gli elettori non manderanno all’opposizione i partiti che lo hanno messo in piedi che, a quel punto, non riusciranno neppure più a convivere in una stessa dimensione.

Se la crisi verrà superata in un nuovo spirito di collaborazione che, ovviamente, non prevede innesti nella coalizione di soggetti ad essa estranea, sarebbe opportuno che gli Stati generali della Casa delle libertà – politici, intellettuali, rappresentanti delle categorie sociali e produttive – si ritrovassero per discutere sulle prospettive della coalizione in vista delle politiche del 2006, ma anche oltre, senza evitare nessuna questione spinosa o imbarazzante: dovrebbe essere questo il passo primario per arrivare alla vagheggiata federazione delle libertà che ha un fondamento soltanto se pensata in maniera non verticistica e, dunque, con un coinvolgimento della base delle forze politiche del centrodestra.

Primato della politica e restaurazione dello Stato sono due temi che il centrodestra dovrebbe porre a fondamento della sua riflessione: è ciò che visibilmente è mancato fino ad oggi. Il primato della politica non è disgiunto dalla necessaria “riscoperta” dello Stato la cui autorità morale è stata offuscata dalle politiche neo-contrattualiste ed iperliberiste che sono state presentate come politiche di sviluppo e si sono rivelate, al contrario, foriere di nuove questioni sociali aggravate da una crisi economica mondiale che gli apologeti della globalizzazione “senza se e senza ma” non solo non avevano saputo prevedere, ma si sono rivelati inadeguati a fronteggiare. Dai due fattori richiamati dipende la ricomposizione del quadro sociale e di una più incisiva spinta alla solidarietà che non ha nulla a che vedere, se correttamente intesa e praticata, con l’assistenzialismo; la ricchezza stessa della nazione che non può prescindere da un interesse primario dello Stato allo sviluppo e al controllo delle risorse; un più corretto rapporto con l’Europa che non può risolversi nella sudditanza a parametri astratti che stanno penalizzando le economie nazionali e procurando nuovi disagi alle popolazioni.

Anche il capitolo delle grandi questioni che tengono in apprensione l’umanità deve rientrare nel progetto complessivo del centrodestra. I diritti dei popoli e quelli individuali; la sovranità e l’indipendenza delle nazioni; la centralità della persona in tutte le politiche di sviluppo; i temi della povertà, della fame, del clima, delle risorse e del loro sfruttamento: sono temi che vanno contemplati alla luce di quell’ispirazione cristiana e solidarista
condivisa da tutte le forze della Casa delle libertà. E poi, una maggiore considerazione per la cultura quale mezzo di riconoscimento dell’identità e di promozione spirituale. Il centrodestra ha la necessità, dunque, di pensarsi come un laboratorio politico-culturale se vuole dare un senso a se stesso, immaginare un nuovo inizio.

La ricreazione del suo spazio dipende dalla capacità che le sue classi dirigenti dimostreranno nel rendersi compatibili e di pensarsi come partecipi di un progetto che non prevede l’arroccamento di nessuno su posizioni di intransigenza e meno che mai contrarie allo spirito che ha portato all’adesione alla Casa delle libertà che ancora oggi, nonostante tutto, viene percepita dagli elettori come un soggetto sostanzialmente unitario a conferma che il bipolarismo che qualcuno è tentato di tanto in tanto di scardinare è acquisito dagli italiani molto più di quanto si pensi.

Si tratta semmai di razionalizzare il bipolarismo, di renderlo meno precario adottando leggi elettorali che lo rafforzino nel quadro della modernizzazione del sistema istituzionale che, è bene ribadirlo, non può essere riformato a colpi di maggioranza, ma con il concorso di tutti. Se il centrodestra dovesse rinascere, come auspichiamo, dovrebbe farsi finalmente promotore di un’Assemblea costituente per le riforme che segnerebbe anche l’avvio di quella pacificazione politica premessa sulla quale poggia un autentico sistema dell’alternanza. In vista delle elezioni europee non è stato fatto quanto era necessario per proporsi con un cartello unico da parte del centrodestra. È stato un errore. O, più semplicemente, non lo si è voluto per poter giustificare il prevedibile conflitto esploso subito dopo. Il nuovo inizio del centrodestra è possibile. I tempi potranno essere lunghi, ma se lo scopo è chiaro può non essere un limite.

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