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Insabbiare le magagne mafiose.

Un’altra storia di disperazione. Stavolta arriva da Catanzaro. Liliana Esposito si è incatenata davanti al palazzo di giustizia di Locri. Un gesto simbolico che trascina con sé tutta la drammaticità di una tipica storia all’italiana dal sapore di mafia. A scatenare la protesta della donna è stata la notizia dell’archiviazione dell’indagine per l’omicidio del figlio Massimiliano Carbone. Aveva solo 30 anni quando il 24 settembre 2004 fu ferito mortalmente con un colpo di fucile calibro 12. Un agguato di stampo mafioso in piena regola insomma. Per la Casa della Legalità la decisione di chiudere il caso rappresenta “una resa dinnanzi alla mano assassina della mafia”. “Un caso – prosegue l’associazione – in cui una madre ed una famiglia, sopravvissute allo strazio di quella morte, hanno avuto il coraggio di dare la massima collaborazione alle autorità dello Stato. Un caso in cui evidenti sono risultati i tentativi di intimidazione verso quella madre che aveva rotto l’omertà di una comunità che sapeva da tempo ma aveva taciuto, facendosi complice di chi ha premuto il grilletto di quel fucile a canne mozze”. La donna nel tempo è stata vittima di aggressioni, prima sulla tomba di suo figlio, poi nella scuola elementare dove insegna.

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