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Usa: “Detenuti di Guantanamo? A morte!”

Una donna ed un afroamericano come garanzia di promozione e tutela dei diritti umani? Illusioni! Barack Obama ha lasciato l’opinione pubblica statunitense a bocca aperta: ha definito “appropriata”la condanna a morte per i sei detenuti di Guantanamo, che potrebbero risultare coinvolti nell’attentato alle Torri Gemelle. Ed Hilary? Temporeggia nell’esprimersi. La candidata però è nota per il suo favore alla pena di morte: proprio lei nel 1996 appoggiò il marito Bill nell’ampliamento della possibilità, a favore dei tribunali federali, di ricorrere alla pena di morte. E, allora, perché tanto clamore in un paese che da sempre “predica bene (fuori) e razzola male (dentro)”? In effetti, molti americani speravano in un notevole passo avanti con il voto di dicembre all’Assemblea generale delle Nazioni Unite per la moratoria universale delle esecuzioni capitali. Obama però precisa: qualche dubbio lo ha ma solo perché a pronunciare la sentenza saranno i tribunali militari istituiti da George W. Bush. I dubbi nascono perché si tratta di “presunzione” di colpevolezza non ancora accertata, e perché le prove sono state acquisite attraverso dichiarazioni estorte sotto pratiche che le convenzioni internazionali definiscono “tortura”.

Che peso avrà una situazione di questo tipo sulla campagna elettorale? Possibile che si parli di sentenza di condanna nei confronti di chi “presumibilmente” sconvolse per la prima volta il cuore degli Stati Uniti? Sarà usato dai conservatori per avere più consensi? I tre protagonisti (McCain, Obama e Hilary) per ora fanno finta di niente, tutti concentrati sugli ultimi risultati.

Mentre, infatti, McCain si avvicina sempre di più alla nomination dei repubblicani, Barack sbanca intero “Ecco la nuova maggioranza in America, ecco come deve essere il cambiamento” grida da Madison, Wisconsin, il candidato democratico di fronte ad una folla oceanica esultante per la vittoria nelle primarie del Potomac. “A questo punto” – continua – “i cinici non potranno più sostenere che la nostra speranza sia falsa”. Per lui dunque si consolidano otto successi consecutivi e il sorpasso della exfirst lady nel numero dei delegati: 1215 contro 1190. Ma per raggiungere la nomination i due dovranno varcare la soglia di 2025. Decisivi saranno i cosiddetti “superdelegati”. Si tratta di 796 notabili del partito che non hanno vincolo di voto: possono cioè cambiare idea fino all’ultimo momento e solitamente tendono a preferire il candidato che appare “front runner”, il favorito dal consenso popolare. Hilary sembra perdere terreno, ma stavolta non si scompiglia e anziché far scivolare lacrime sul viso, tira la pelle in un sorriso artefatto e cerca di schivare i paparazzi a caccia di fotonotizie che rappresentano tutto, tranne che un programma politico.

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