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Giordania, Iraq, Israele e Mr. Bush

Condannati a 15 anni di lavoro forzato per aver cercato di assassinare il presidente George W. Bush durante la sua visita in Giordania il 30 novembre 2006, quando era giunto nel Paese arabo per incontrare il primo ministro iracheno Nouri al Maliki. La sentenza è stata emessa oggi dalla Corte di Sicurezza di Stato giordana. Si attenua dunque la pena per Nidal Momani, 29 anni, Sattam Zawahreh, 28 e Tharwat Darraz, 24, che, inizialmente, erano stati condannati a morte perché intenzionati a far esplodere le ambasciate americana e danese (quest’ultima nel mirino degli estremisti per la vicenda delle vignette su Maometto) ad Amman e uccidere Bush. La Corte ha cambiato idea perché – come si legge nella motivazione della sentenza – vuol “dar loro una possibilità di correggersi”.
 
La notizia arriva in concomitanza di un’altra grande decisione: nessun ritiro dall’Iraq. Non per ora, almeno. Bush da Gerusalemme, dove si trova in visita per festeggiare il 60° anniversario della nascita di Israele, dichiara: “Un ritiro degli Stati Uniti dall´Iraq, o dal Medio Oriente o il mancato mantenimento di una presenza avanzata invierebbe segnali di tutti i tipi in tutto il Medio Oriente. Farebbe innervosire tutti e rafforzerebbe esattamente le stesse persone che stiamo cercando di sconfiggere”.
 
Ma, sempre da Gerusalemme, ospite presso la residenza ufficiale di Shimon Peres, il presidente degli Stati Uniti non si perde d’animo. Neanche sulla questione israelopalestinese. Mr. Bush esprime ottimismo sul raggiungimento di un accordo di pace tra israeliani e palestinesi prima della fine del suo mandato. Proprio il Nobel per la Pace ha voluto sottolineare che non sono gli israeliani a mettere i bastoni tra le ruote nel difficile processo di negoziazione. “Non siamo i loro nemici”.
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