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L’occasione europea

Una premessa. L’Italia deve usare ogni sforzo per porsi in una posizione di maggiore attenzione e propositività rispetto ai mercati internazionali, considerato che in molti di questi siamo l’anello debole. Nella particolare fase storica che stiamo vivendo, in cui la crisi dei mercati finanziari si è propagata rapidamente all’economia reale, bisogna ricalibrare tutte le discussioni in un contesto più incisivo rispetto al cambiamento che si sta determinando. La possibilità di rimanere agganciati ai mercati va difesa con ogni mezzo perché, altrimenti, si rischia la marginalizzazione nella transizione globale in corso.
Il recupero di competitività è l’obiettivo che può guidare i decisori pubblici e privati nella fase che dobbiamo affrontare.
Diventa quanto mai utile prepararsi a individuare tutti gli strumenti più idonei con cui operare per aumentare l’incisività del sistema economico-produttivo del Paese nel contesto europeo ed in quello globale.
In tal senso andiamo da tempo argomentando come il sistema audiovisivo, della creatività, dei naturali giacimenti culturali di cui disponiamo, rappresentano uno degli asset fondamentali attorno cui il nostro Paese può riposizionarsi nello scenario globale. È evidente tuttavia che anche il settore audiovisivo non sarà scevro dagli effetti della congiuntura negativa e che gli altri competitor, i tradizionali Stati Uniti, ma anche i nuovi e più aggressivi quali la Cina e l’India, da parte loro non staranno a guardare e daranno filo da torcere nel controllo dei mercati.
Sollecitati da tali ragioni, abbiamo ritenuto utile cogliere l’occasione offerta dalla nuova regolamentazione europea che riguarda tutta l’industria audiovisiva, anche le nuove piattaforme tecnologiche dove può viaggiare il video-contenuto, in vista dell’adeguamento cui dovranno dar luogo i governi nazionali dell’Unione entro il prossimo dicembre 2009. Per anni abbiamo seguito da Bruxelles, con il gruppo di lavoro formato da cimsComunicazioni, il processo di revisione della precedente normativa europea, Televisioni Senza Frontiere, che ha portato alla attuale direttiva 2007/65/Ce, “Servizi di Media Audiovisivi”, approvata nel dicembre 2007.
In Europa si è svolto un lungo ed anche complesso dibattito che ha visto coinvolti tutti i protagonisti del settore, broadcaster pubblici e privati, carrier telefonici, produttori di contenuti, concessionarie pubblicitarie. Sin dalla conferenza di Liverpool del settembre 2005 si è svolto un confronto animato e vivace per giungere ad un nuovo assetto normativo che fosse in grado, per quanto possibile, di andare incontro alla veloce innovazione tecnologica che ha coinvolto l’industria. Portare un’eco di tale dibattito in Italia non è stata impresa facile nel corso di questi anni e la precedente legislatura in particolare, pur sollecitata, ha decisamente trascurato quanto stava avvenendo aldilà delle Alpi, in un’Europa di cui poi vorremmo miracolosamente essere protagonisti. Dobbiamo invece dare atto all’attuale governo, al neo vice ministro titolare delle Comunicazioni, Paolo Romani, di essersi posto il problema non solo di come recepire la nuova direttiva europea ma anche di alimentare un efficace dibattito in grado di implementare i margini che il testo europeo lascia alle decisioni degli Stati-membri in linea con il principio di self – e co – regolamentazione, nella direzione di una rafforzata competitività dell’industria nazionale. Questo è stato l’oggetto della nostra proposta che ha dato quindi luogo all’Osservatorio, insediato presso il ministero, di cui mi è stato anche affidato il coordinamento e di cui fanno parte la Fondazione Ugo Bordoni, la Fondazione Lazio per lo Sviluppo dell’Audiovisivo e ai cui lavori, invitata a partecipare, prende parte l’AgCom. Attualmente sono in via di conclusione le audizioni bilaterali con cui abbiamo incontrato ogni singolo soggetto coinvolto dall’adeguamento normativo e, nella prima metà di giugno, avrà luogo il primo seminario plenario dell’Osservatorio.
Se si assume dunque che la competitività è la bussola da cui i decisori si dovrebbero far guidare, è chiaro che tale sfida si vince non tanto all’interno delle dimensioni nazionali ma proprio in quella dimensione globale che è il comune terreno di confronto. È evidente che il primo riferimento in tale direzione non può che essere l’Europa, da dove giungono indicazioni significative in tal senso visto che nel profondo processo di rinnovamento normativo, si legge un tentativo, quanto riuscito lo scopriremo in corso d’opera, di dare risposta agli ambiziosi obiettivi dell’Agenda di Lisbona e la nuova strategia i2010, adottata nel giugno 2005, per una “società europea dell’informazione per la crescita e l’occupazione”. Uno degli obiettivi della nuova Direttiva è il rilancio della competitività del sistema industriale audiovisivo europeo e la creazione di un mercato unico dei contenuti e della loro fruizione, in grado di competere nella dimensione globale. La Direttiva, in tal senso, applicata nel suo complesso, potrà essere una straordinaria occasione ed uno strumento utile. È noto che il Parlamento nazionale ha già avviato la fase-b, quella del recepimento della direttiva nella comunitaria 2008, che delega poi il governo ad emettere il decreto. Ma sappiamo anche che le indicazioni del legislatore europeo danno un quadro generale all’interno del quale starà ai decisori in campo, attraverso un efficace codice di co-regolamentazione e self-regolamentazione, nonché alla qualità del dibattito si sarà in grado di avviare, il compito di “disegnare” con la maggiore produttività i dettagli della spinta innovativa. Diversi punti tra cui l’alfabetizzazione mediatica, la produzione europea, la distinzione tra servizi lineari e il video on-demand,  le nuove forme di finanziamento quali il product placement, sono alcuni dei temi cui sarà indispensabile saper guardare al futuro.  Occorre anche porsi qualche domanda. Se si riflette sul fatto che i più grandi esportatori di format sono gli inglesi, gli olandesi e gli scandinavi è realmente sorprendente la debolezza di un Paese come il nostro dove la creatività è una caratteristica che fa parte del nostro dna. Sembra un paradosso che le nostre scuole a preminente impostazione umanistica non producano talenti su questo versante. Sarebbe utile alzare lo sguardo dalle sterili polemiche che troppo spesso affliggono il dibattito nazionale per riflettere piuttosto sul necessario “riposizionamento” del nostro Paese, ritrovando e valorizzando quelle che sono le nostre specificità, il  nostro quid pluris da spendere sul terreno delle sfide che abbiamo di fronte.
In un mercato della comunicazione che sviluppa un valore complessivo di 101 miliardi nel 2007 (6,6% del prodotto interno lordo italiano), a fronte dei 28,6 miliardi del 1987, la crescita di circa tre volte e mezza, con un tasso d’incremento medio annuo del 6,45% dà il segnale di un settore vitale.  Di questi 101 mld, a fare la parte del leone sono stati il comparto delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Ict) con 64,4 miliardi di euro (dati del 2006), i mezzi a contenuto editoriale con 24 miliardi di euro e le iniziative di comunicazione di natura commerciale con 11 miliardi di euro.
Una prima specificità della nostra industria su cui si potrebbe volgere l’attenzione è proprio quella che fa riferimento ai contenuti: essi possono essere considerati l’elemento trainante anche delle nuove piattaforme se è vero che le performance migliori degli ultimi anni si devono ai mezzi a contenuto editoriale che, dal 2001, sono cresciuti di un valore quasi doppio (7,1 miliardi) rispetto a quello dell’Ict (3,9 miliardi). I contenuti hanno tenuto maggiormente negli anni post-2001. Dal 2001, infatti, i contenuti sono cresciuti (39%) a un ritmo triplo rispetto al totale del mercato e 6 volte quello dell’Ict. La cannibalizzazione tra media è ancora molto bassa. Il contenuto veicolato aumenta in modo vertiginoso ma senza prodotti in via di estinzione. In riferimento alla spesa diretta in contenuti audiovisivi, ogni successiva forma di consumo si è praticamente affiancata alle precedenti in un riposizionamento reciproco e in un’espansione del valore del mercato (da 1 a 6,2 miliardi).
Sui contenuti probabilmente l’Italia avrebbe un valore aggiunto da spendere. La nostra storia, il patrimonio artistico e architettonico, la creatività, sono le materie prime di un Paese in cui il “brand-Italia” è di per sé un giacimento di ricchezza, solo a saperlo valorizzare. Ma tale patrimonio appare nettamente offuscato. Sembra che il Paese sia assopito e dimentico delle proprie capacità creative che lo hanno visto protagonista dall’età classica al rinascimento, al risorgimento, al neorealismo del secondo dopoguerra.  È da lì che probabilmente sarebbe utile ripartire per un rinnovato “bacino di creatività”, secondo una linea-guida del tipo creatività per competitività.  Se l’Osservatorio del vice ministro Romani  riuscirà a dare anche solo un piccolo contributo in questa direzione, avremo vinto la sfida.
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