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È nata la Yalta ambientale

Molti ricorderanno che Platone (Atene, 427 a.C. – 347 a.C.) aveva sognato la forma perfettissima di società. Lo Stato perfettissimo era una repubblica guidata da un vertice di filosofi, uno stato che anticipava in parte il filone comunistico e alla quale si ispirò perfino Karl Marx (1818-1883). Platone parla di questa struttura statale guidata dai filosofi nella Repubblica (Politèia), che non è il vivace quotidiano di oggi bensì una delle opere più celebri del filosofo greco. Che c’entra Platone – si chiederanno molti – con il summit Cop15 di Copenaghen sul clima, che si è svolto a metà dicembre? C’entra. Perché per la prima volta a Copenaghen si è affacciato alla ribalta del palcoscenico politico del mondo ambientale una repubblica simile a quella immaginata 2.300 anni fa da Platone. La Cina.
 
Nell’immaginario collettivo, la Cina di oggi è un Paese ambivalente; è la “fabbrica del mondo”, è da pochi giorni il terzo produttore mondiale di automobili, ma è arretrata e inquinante. È una dittatura che sbatte al muro i condannati e che emette la maggiore quantità di anidride carbonica con le sue centrali elettriche a carbone, in genere un carbonaccio pesante e solforoso estratto nelle miniere più friabilmente assassine del mondo. L’aria delle città cinesi è ancora oggi resa pesante dall’odore greve del carbone bruciato, usato per esempio nelle cucine economiche per la cottura dei cibi.
Però la Cina è anche un altro Paese. Se Platone potesse vedere, stupirebbe. La Cina è la perfettissima repubblica platoniana, ma non repubblica dei filosofi. È la repubblica degli ingegneri.
Guardiamo il leader cinese, Hu Jintao. È ingegnere idraulico. Il segretariato del comitato centrale del partito comunista che affianca Jintao è composto da He Yong, ingegnere meccanico; Xu Caihou, ingegnere elettronico; He Guoqiang, ingegnere chimico; Zhou Yongkang, ingegnere petrolifero; Zeng Qinghong, ingegnere tecnologico. Un Politecnico governa il Paese più popoloso del mondo. Completano il segretariato del comitato centrale un politico, Liu Yunshan, e – chicca – un vero e autentico filosofo, Wang Gang, laureatosi in filosofia nel ’67 all’università di filosofia di Jilin. Questo è il “politbiuro”, poi il comitato centrale si compone di decine di altri ingegneri. A mazzi. Quando questa repubblica di ingegneri si muove, realizza. Hanno deciso di costruire la centrale idroelettrica delle Tre Gole, e non si sono preoccupati quando per completare l’opera è stato necessario sgomberare alcuni milioni di abitanti. I milioni di abitanti sono stati spostati. Pochi anni fa gli ingegneri avevano deciso di costruire da un anno all’altro centrali elettriche per 70mila megawatt. Quanto l’intera capacità istallata di centrali disponibile in Italia comprese le antiche dighe idroelettriche di fine Ottocento. Ebbene, in un anno quelle centrali sono state costruite.
A Copenaghen si è visto che la repubblica degli ingegneri (sorpresa del mondo) si è accorta del problema delle emissioni di anidride carbonica. Si è visto che la Cina ha deciso di cambiare il suo sistema energetico e produttivo. Il politecnico-al-governo ha stabilito che la Cina non sarà più la fabbrica sporca del mondo. Sarà la fabbrica pulita del mondo. E ne governerà il cambiamento. Insieme agli Stati Uniti.
Due esempi? Nei giorni scorsi la Cina è diventata il terzo Paese eolico al mondo. Sono state programmate cento centrali nucleari al posto delle centrali a carbone. Cento. Più di quante ne abbia accumulate la Francia. Il Governo di Pechino le avrebbe programmate anche di più, ma nel mondo non ci sono abbastanza capacità produttive.
 
Della Cop15 di Copenaghen si è detto che è stato un accordicchio, una delusione. Altri hanno vantato i risultati di un grande successo. Niente di tutto ciò. Il summit del clima nella capitale danese è stato un grande evento economico. Un accordo su come spartirsi il mercato verde e l’economia (pulita) dei prossimi quarant’anni. Il negoziato verteva su questo: chi guiderà l’uscita dal cambiamento climatico. Si è visto il tentativo di Usa e Cina di spartirsi il mercato a due, tagliando fuori l’Europa e il resto del mondo dal business dell’ecologia. Cioè, dal business emergente. Va sgombrato il campo da un luogo comune. Oggi viene chiamata “green economy” quella che tra qualche anno sarà “economy” e basta, senza l’aggettivo “verde”. Sia chiaro. Gli imprenditori che tentennano dovranno ricredersi presto se non vogliono perdere il mercato. La decisione della grande politica è evidente, ma Barack Obama (o la nuova Cina) non parlano a vanvera. Alle spalle, i politici hanno l’industria forte. Le grandi compagnie petrolifere statunitensi, a titolo d’esempio, hanno già fatto la scelta. I loro chief executive officier, i loro board, i loro azionisti sanno che chi nasce oggi vedrà da vecchio la società senza idrocarburi non perché il petrolio sarà finito ma perché avremo imparato a farne a meno. Stati Uniti e Cina hanno capito che non vogliono più restare indietro sul mercato, ben più grande, che si apre con le tecnologie contro il cambiamento climatico. La partita economica è enorme. Bisogna stabilire per esempio gli standard dell’efficienza energetica e le tecnologie per ridurre le emissioni di anidride carbonica. Il sistema di cattura e sequestro del carbonio. Passare dalle centrali a carbone a vapore a quelle che usano turbine ultrasupercritiche, oppure passare a quelle alimentate a gas con il ciclo combinato – che hanno rendimenti doppi ed emissioni dimezzate – e di conseguenza assicurarsi il controllo dei giacimenti dell’Asia centrale. Ancora, bisogna stabilire lo standard dei motori elettrici più efficienti per l’industria, degli elettrodomestici oggi dominati dai tedeschi per le produzioni di qualità, dai giapponesi per le applicazioni più avanzate dal punto di vista tecnologico oppure dai cinesi per quanto riguarda il costo. Bisogna decidere quale sarà la tecnologia nucleare vincente, se quella europea dell’Epr francese, già perdente sullo scenario internazionale, oppure quella russa del Vvr che viene ostacolata in Iran, o, ancora, le tecnologie vincenti dell’Ap1000 della statunitense Westinghouse, o quella della statunitense General Electric con la giapponese Hitachi, o la tecnologia che stanno sviluppando in casa i cinesi. Bisogna stabilire quali automobili, se quelle ibride dei giapponesi, oppure quelle a idrogeno dei tedeschi o quelle elettriche della Renault e degli statunitensi. Questa è la partita da giocare. Stati Uniti e Cina, e i loro sistemi industriali, finalmente hanno capito che chi vince questa partita ambientale si assicura il mercato per i prossimi quarant’anni. E sul tavolo della partita dell’economia del clima gli Stati Uniti mettono cervello e finanza, la Cina produzione. Sanno benissimo che il cambiamento climatico esiste. E hanno deciso che la crescita economica dei prossimi decenni sarà tarata su questo tema. Mentre ero a Copenaghen, questo elemento emergeva fortissimo, chiaro, netto. Entrambi i paesi hanno deciso di affrontare il tema in modo serio. Se frenano sulle misure da prendere, Cina e Usa frenano per due motivi.
Primo, hanno bisogno ancora di uno o due anni per tararsi e misurare sé stessi, per digerire e metabolizzare. Il secondo motivo della lentezza con cui cominciano a muoversi è che Cina e Usa vogliono arrivare a controllare lo sviluppo del mondo. Vogliono darsi i paletti, mettersi i confini delle sfere di influenza. È chiaro: non si tratta di sfere geografiche di influenza. Si tratta di aree tematiche.
Insomma, a Copenaghen si è tentato di chiudere quell’accenno di patto G2 (i due grandi) che già si era delineato durante i viaggi di Barack Obama in Asia. Avevano bisogno che l’accordo decisivo sui cambiamenti climatici fosse pilotato da loro, non dall’Europa-prima-della-classe. L’accordo ambientale del G2 scatterà forse in estate a Bonn, o tra un anno alla Cop16 di Città del Messico.
A Copenaghen l’Europa si è accorta all’ultimo che questo era il gioco. Invece di correre avanti da sola, l’Europa ha tentato un mezzo passo indietro, ha stipulato un accordicchio poco convinto. Ma è riuscita a rimanere seduta al tavolo tra i convitati. Se tenterà di nuovo di correre da sola, prima degli altri, entrerà nel menù.
 
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