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Oeconomicus/Riforme 2010: caso romano, ricetta nazionale?

Giuliano Amato ama ripetere che da Michele Salvati ha appreso (alcuni decenni fa) come per studiare un bosco, occorra, prima, analizzare bene il singolo albero. E’ la domanda che mi sono posto all’inizio dell’anno, studiando le previsioni econometriche dei 20 maggiori centri internazionali d’analisi (tutti privati nessuno italiano): la ripresa, sebbene  in atto, è debole particolarmente nel Continente vecchio, specialmente in quei Paesi che fanno parte dell’area dell’euro (un aumento del pil appena dell’1,2%, andando di questo passo si dovrà aspettate il 2012 per avere un reddito nazionale analogo a quello che Eurolandia ha segnato nel 2007); per l’Italia il quadro è ancora meno incoraggiante , appena lo 0,8% (con la prospettiva di dovere aspettare sino al 2014 per “tornare” al pil del 2007).I lettori di Formiche ricorderanno come, secondo le stime effettuate dalla Banca centrale europea (Bce), prima della crisi finanziaria ed economica, a ragione dell’invecchiamento demografico ed industriale il “potenziale” di crescita del nostro Paese sarebbe un pallido 1,3%: senza uno scatto, nei prossimi anni rischiamo di viaggiare al 60% di quella pur modesta capacità di velocità di crociera. La soluzione, ormai universalmente indicata (sia da maggioranza sia da opposizione),  sarebbe un vigoroso programma di riforme. In particolare di quelle che non costano, come le liberalizzazioni. E’ fattibile?

 
Il singolo albero di Michele Salvati potrebbe essere la Capitale- laboratorio del centro-sinistra (il “modello Roma” di cui si è parlato per dieci anni circa) ed ora laboratorio del centro-destra. Un libro inchiesta di un giornalista della giovane generazione, Claudio Cerasa, analizza, con ricchezza di particolare, come il nuovo Governo della capitale si regga su un equilibrio tra vari interessi (legittimi , pur se particolaristici, e di solito contrapposti) allo scopo di dare una nuova anima, prima ancora che un nuovo volto, alla città, ed all’intera, area metropolitana. E prendere l’avvio da questa nuova anima e da questo nuovo volto per un più ambizioso programma di riassetto dell’intera Italia. Roma, dunque,  come albero da studiare ( e sui sperimentare) per meglio comprendere il bosco, un albero su cui porre nuovi innesti per estenderli, se funzionano, all’intero bosco. L’equilibrio non ha un etichetta – come il “modello Roma” d’antan. Forse perché vuole consolidarsi prima di darsi un nome. O forse, perché, come ha teorizzato Albert Hirschmann, al fine che le riforme si attuino occorre tenere sempre presente l’importanza di non farsi notare.
 
 E’ necessaria anche un’altra avvertenza: l’equilibrio può essere l’architrave di un “compromesso senza riforme”. E’ utile , a questo punto, fare riferimento ad un saggio importante di Fabrizio Barca , che suscitò molti dibattiti quando uscì ma che ora pare dimenticato- quello su “Il capitalismo italiano : storia di un compromesso senza riforme”. Barca traccia acutamente la storia economica italiana dal dopoguerra agli Anni 80, come quella di “un compromesso tra idee ed interessi pure molto diversi che convergono in una rinunzia ed in  una scelta: la rinunzia a disegnare le regole del gioco per l’ordinario funzionamento dei mercati e della pubblica amministrazione; la scelta di restare nel solco disegnato negli Anni Venti e Trenta , affrontando il problema dello sviluppo per mezzo dello strumento straordinario degli enti  pubblici”.
 
Un equilibrio, quindi, che si giustappone a quello tratteggiato dal Premio Nobel per l’Economia 2009 Oliver E. Williamson, uno dei cui lavori principali è quasi un’interfaccia di quello di Barca. In “Le istituzioni economiche del capitalismo” , guardando principalmente all’esperienza americana, Williamson analizza come un “compatto” tra interessi diversi possa allestire “istituzioni” (nel senso economico di regole e prassi non in quello giuridico di organizzazioni) in grado di ridurre “i costi di transazione” tra soggetti economici (individui, famiglie, imprese, pubblica amministrazione, autorità di vario ordine e grado) e favorire così sia il progresso sia l’adattamento al mutamento di circostanze esterne.
 
Torniamo a Roma. Dal libro-inchiesta di Cerasa non si trae solamente un quadro vivido di chi comanda quando la Capitale cambia colore e non si vedono unicamente di un alleanza tra gruppi e forze diverse e differenti, ma sorge l’interrogativo – peraltro non risolto – se al di là dello straordinario (ad esempio l’emergenza Tevere) il compatto vorrà e potrà effettuare le riforme che pur nell’ambito delle competenze di un’amministrazione comunale (ad esempio, il commercio ed i servizi) potranno fare da stella polare al resto del Paese.
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