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Oeconomicus/ La lunga estate calda dell’euro

Siamo nel mezzo di quella che verrà ricordata come la lunga estate calda dell’euro. Non è come quella del 1997 quando la lira era appena rientrata negli accordi di cambio europei e ci si chiedeva se Roma, Madrid e Lisbona (allora chiamate , ironicamente , il “club Med”) avrebbero fatto parte della moneta unica in via di costituzione. Ha analogie con l’estate del 1992 quando il firmato di Maastricht era stata parafato da pochi mesi, ma ci si chiedeva se l’unione monetaria sarebbe mai venuta in vita. Allora i dubbi riguardavano soprattutto la lira e la miccia venne innescata nei confronti dell’Italia (ritenuta non in grado di tener fede ai propri impegni). Adesso la miccia è stata attizzata dalla Grecia e da un deficit spaventoso (e nascosto per anni), che riflette una scarsa produttività.
Quanto il piano di salvataggio era in fase di elaborazione, ho sottolineato come l’ombrello esteso all’intera area dell’euro sia carente. In primo luogo, l’impegno complessivo Ue-Fmi è modesto (1000 miliardi di dollari equivalenti) in un mercato dove almeno 15.000 miliardi di dollari passano quotidianamente di mano. In secondo luogo, l’ombrello a due gambe (Ue e Fmi) è molto simile a quelli messi in atto alla fine degli Anni Ottanta (crisi debitoria principalmente dell’America Latina) e degli Anni Novanta (crisi Asiatica e Russa. Tuttavia, quelli degli Anni Ottanta e Novanta prevedevano quasi sempre una svalutazione ma nell’area dell’euro, ciò non può essere attuato (per non mettere a repentaglio l’unione monetaria). Tanto a Washington quanto a Bruxelles l’ombrello viene visto essenzialmente come una misura – ponte che avrebbe principalmente l’obiettivo di meglio organizzare un’insolvenza parziale. In passato, tali misure-ponte hanno funzionato quando a) l’impegno di tutti i partecipanti è stato di lungo periodo (e ci sono legittimi dubbi che tutti i protagonisti restino in campo per anni, anche a ragione dei problemi specifici di finanza pubblica di ciascuno), b) la struttura per la gestione dei fondi è stata semplice (Fmi, Banca Mondiale da un lato; Paese “assistito”, dall’altro) ed ha mostrato difficoltà quando a Fmi. Banca Mondiale venivano associate altre istituzioni (Banche regionali come l’Interamericana e l’Asiatica), mentre si tratteggia non una rete di accordi bilaterali (per la Grecia se metterebbero in piedi dagli 8 ai 18); c) si è operato sul cambio (strumento che , come si è detto, non è, utilizzabile).
 
Degli aiuti messi in campo, il maggior beneficiario non sarà la Grecia , ma le banche (francesi, tedesche e greche, in quest’ordine) le cui casse sono gonfie di obbligazioni emesse dal Tesoro dell’Ellade (o da banche ed aziende a partecipazione statale. Il secondo beneficiario sarà il Governo Papandreu: un’analisi di circa 140 Paesi, in un arco di tempo che va dagli Anni Cinquanta all’inizio di questo secolo, indica che, di norma, 18 mesi dopo un’insolvenza alle scadenze del debito,l’Esecutivo passa il testimone e viene sostituito o da un Governo tecnico o da una nuova coalizione (spesso in seguito ad elezioni anticipate). I perdenti rischiano di essere non sono i greci che dovranno assorbire un pesantissimo programma di stabilizzazione, ma anche i contribuenti dei Paesi che partecipano al salvataggio. Il trabocchetto principale consiste nel fatto che gli aiuti possono soprattutto avere l’effetto non di evitare ma di ritardare l’insolvenza – secondo un copione che si è già visto nel caso dell’Argentina. Ciò metterebbe a serio rischio l’intera unione monetaria: dalla fine della seconda guerra mondiale, l’unione monetaria europea è la sola ad essere stata partorita, mentre sono defunte le aree della sterlina e del franco (in pratica, due unioni monetarie) e le unioni monetarie dell’Africa Orientale , della Malesia e Singapore, dell’ ex-Urs, nonché quelle, unilaterali, tra gli Stati Uniti ed Argentina, tra gli Stati ed alcuni Paesi dei Balcani e tra gli Stati Uniti ed alcuni Stati dell’America centrale che avevano adottato il dollaro Usa come loro moneta. Per non citare che i casi più noti.
 
Per saperne di più
Buchheit L.C., Mutugulati G. How to restructure Greek Debt Duke University
De Grawe P. Crisis in the Eurozone and how to deal with it CEPS Policy Brief n. 204
Utzig S. “The Financial Crisis and the Regulation of Credit Rating Agencies: A European Banking Perspective” ADBI Working Paper n. 188
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