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Oeconomicus/ L’America latina galoppa…

È probabile che il prossimo presidente della Banca mondiale non sia un cittadino degli Stati Uniti, indicato dalla Casa Bianca, secondo una convenzione non scritta ma, in effetti, in vigore sin dal 1945. Non sarà neanche un esponente dell’Asia emergente, o meglio emersa, sostanzialmente più interessata alla riforma del sistema monetario ed ai tassi di cambio che alle poltrone. Secondo quanto si racconta nei corridoi della Washington-che-può il candidato alla guida della maggiore istituzione finanziaria internazionale sarebbe l’attuale presidente del Brasile Luis Lula quando il 30 giugno 2012 scadrà il mandato dell’attuale guida dell’istituto, Robert Zoellick, ex ministro del Commercio con l’estero degli Stati Uniti. Ci sarebbe già un accordo implicito tra la Casa Bianca ed i principali governi dell’America centrale e meridionale, che scalpitano, più di quelli dell’Asia, per avere maggior peso nelle organizzazioni internazionali a carattere mondialistico.
L’ascesa ed il galoppo dell’America latina sono un fenomeno di cui, in Europa, paiono interessarsi solamente le opinioni pubbliche di Spagna e Portogallo. In Italia il sottosegretario agli Esteri Vincenzo Scotti ed il vice ministro per lo Sviluppo economico Adolfo Urso stanno operando alacremente per aumentare il ruolo dell’Italia nell’area, ma la stampa quasi non se accorge. Il nostro Paese ha una presenza limitata nel Banco inter-americano per lo sviluppo, nonostante circa otto anni fa l’assemblea annuale dell’istituto (uno dei più efficienti del ramo) si sia tenuta a Milano. L’Istituto italo-latinoamericano vegeta in un bel palazzo romano dove organizza concerti e proiezioni di film. L’Ipalmo sembra sparito dalla piccola galassia degli istituti internazionalisti del Paese.
Dalla crisi debitoria alla fine degli anni Ottanta, grazie ad una serie di programmi di riassetto strutturale adottati dai governi con il supporto delle istituzioni finanziarie internazionali, i maggiori Paesi del continente sono cambiati. Lo dicono i preconsuntivi per la crescita nel 2010 e le previsioni per quella nel 2011 elaborati dai venti maggiori istituti econometrici internazionali (tutti privati, nessuno latino-americano) per Argentina, Brasile, Cile, Colombia e Messico. Per l’anno che sta volgendo al termine, i preconsuntivi indicano tassi di crescita del Pil rispettivamente del 6,8% (Argentina), del 7,5% (Brasile), del 4,8% (Cile), e del 4,6% (Colombia e Messico). Per il prossimo, le previsioni sono di un rallentamento della crescita – 4% (Argentina), 5,5% (Brasile), 4,4% (Colombia), 3% (Messico) – in quasi tutti i Paesi presi in considerazione con la sola eccezione del Cile (5,7%). Si tratta, comunque, di tassi di crescita apprezzabili. Come evidenziato dai rapporti del Banco inter-americano per lo sviluppo e dalla raccolta di saggi curata da Joseph S. Tulchinand e da Allison M. Garland Social development of Latin America: the politics of reform (Boulder), le privatizzazioni e le liberalizzazioni (uno dei motori principali dello sviluppo dopo la crisi debitoria di 23 anni fa) hanno permesso di meglio destinare risorse al sociale e di effettuare profonde riforme basate su tre punti: a) istruzione e formazione (oggi numerosi sistemi scolastici ed Università dell’America latina sono all’altezza di quelli del nord America); b) assistenza a più poveri convogliando le risorse pubbliche tramite associazioni senza fini di lucro; c) riassetto dello stato sociale (previdenza, sanità) da modelli particolaristici-occupazionali (che tutelavano principalmente il ceto medio) a modelli universalistici.
Non mancano zone d’ombra (Venezuela, Ecuador). Ma una scommessa vale la pena farla.
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