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Oeconomicus/ L’euro e le responsabilità dell’Europa

Nel chiudere un 2010 tutt’altro che tranquillo, crediamo sia utile riflettere non tanto sulla durata o meno di un nuovo accordo monetario o sulla riforma del Fondo monetario internazionale, ma sul ruolo che in modo strisciante la moneta unica europea sta assumendo su scala mondiale e sulle responsabilità che ciò comporta per l’Europa. Gran parte della letteratura sul tema riguarda l’apprezzamento dell’euro rispetto al dollaro e la crescente quota di riserve mondiali e di fatturazioni di commercio internazionale denominata nella moneta unica europea. Un lavoro ancora inedito di Fabian Antenbrink, professore di Diritto europeo all’Università Erasmus di Rotterdam, ha di recente sollevato, nel corso di un convegno a Bruges, un aspetto poco noto, apparentemente puramente giuridico ma con forti ricadute economiche e politiche. In breve, in parte per ragioni giuridico-formali, in parte per l’attrazione – il “fascino discreto dell’euro” – innescata dall’apprezzamento degli ultimi anni, l’euro è diventata o la moneta comune o l’ancora di un sistema molto più vasto di quello dell’Eurogruppo. È l’unità di misura, di transazione e di riserva non solo di “piccoli” Stati europei (Andorra, Monaco, San Marino, Vaticano), ma anche di Stati e territori associati a Stati membri dell’Eurozona (Guadeloupa, Guiana francese, Martinica, Réunion, Saint-Barthélemy, Saint-Martin, Azzorre, Madeira, Saint-Pierre-et-Miquelon, Mayotte e Canarie). Inoltre, in base ad accordi precedenti la creazione della moneta unica europea (e lo stesso Trattato di Roma), le valute di numerosi Stati sono ancorate a quelle della ex-metropoli (in epoca coloniale) a tasso di cambio fisso. Si spazia dalla Nuova Caledonia, alla Polinesia, Wallis e Futuna nel Pacifico a mezza Africa (tramite i trattati, sempre in vigore, tra la Francia, da un lato, e le Comunità monetarie dell’Africa centrale ed occidentale, nonché la Repubblica delle Comore) e a Capo Verde.
 
Ove la geografia dell’euro non fosse abbastanza confusa e straripante, ci sono Paesi neocomunitari (e che aspirano a fare parte dell’Eurozona) che hanno definito, unilateralmente, un cambio fisso con l’euro: la Repubblica Cèca, la Romania, l’Ungheria. La Croazia, la Serbia, la Repubblica Macedone e la Tunisia hanno seguito il loro esempio, sperando che l’ancora faciliti il loro ingresso nell’Ue o la loro associazione all’Ue. A questi Stati occorre aggiungere la Bosnia-Erzegovina e la Bulgaria – in ambedue vige un sistema di commissariamento valutario (ossia un currency board) basato sull’euro – ciò vuol dire che l’emissione di moneta locale è basata sulle riserve in euro presso le rispettive autorità monetarie. In Kosovo e Montenegro l’euro è la valuta utilizzata per le transazioni commerciali e bancarie. Il tasso di cambio di Botswana, Israel, Giordania, Libia, Marocco, Russia, Seychelles e Vanuatu è ancorato ad un paniere di monete in cui domina l’euro. L’elenco – si tenga presente – è unicamente indicativo e può aumentare se, come annunciato, future nuove unioni monetarie (quali quella del Golfo persico) si agganceranno all’euro.
Ciò comporta, in primo luogo, un delicato nodo politico: nessuna autorità monetaria, anche degli Stati più direttamente legati all’euro, partecipa al Sistema europeo di banche centrali (Sbce). Quindi non ha alcuna voce in capitolo nelle politiche della Banca centrale europea (Bce) che pur influiscono in maniera determinante sull’offerta di moneta, sulla liquidità, sui tassi d’interesse e, dunque, sulla crescita. In pratica a questi Stati si applica parte del “patto di crescita e di stabilità” (nelle sue varie versioni) pur se non lo hanno né sottoscritto né firmato, ma, in un certo qual modo, vi aderiscono volontariamente. Sotto il profilo economico, il primo e più certo impatto è che la valorizzazione internazionale dell’euro incide sulle esportazioni di questi Stati e territori tanto quanto influenza quelle dell’Eurozona. Dato che dal 1945 l’Europa continentale segue un modello di crescita basato sull’export, un ripensamento della strategia diventa urgente non solo ai fini europei, ma a ragione delle responsabilità dell’Europa nei confronti dell’area dell’euro “a pezzi e bocconi” che si è sviluppata. Come quello che circa 40 anni fa, il consigliere di Kennedy, Arthur Schlesinger jr., declinava a proposito degli Stati Uniti nell’“Imperial America”. È urgente acquisirne maggiore consapevolezza.
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