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Il futuro è già qui

Il 2010 è stato un anno storico per il Brasile. L’elezione alla presidenza della candidata voluta da Lula, Dilma Rousseff, segna l’inizio del terzo governo consecutivo del Partito dei lavoratori-Pt, una continuità inedita in tempi di democrazia. A questo si aggiunge che il Brasile avrà una donna come capo di Stato e di governo, fenomeno ancora raro a livello mondiale, ma apparentemente destinato a consolidarsi. La stabilità politica riflette l’ottimismo circa le prospettive economiche brasiliane: in un anno in cui i Paesi del nord ancora combattono per uscire dal tunnel della crisi economica internazionale, il Brasile crescerà, secondo le previsioni, oltre il 7%, un tasso quasi cinese che non si registrava da almeno 20 anni.
C’è da chiedersi, dunque, se il futuro sia finalmente arrivato, per citare l’amara battuta secondo la quale il Brasile è eternamente il Paese del futuro. Per rispondere a questa domanda, bisogna stabilire quali sono i fattori alla radice di questa performance economica, se questi fattori sono in grado di sostenere la crescita del Pil, e se questo modello di sviluppo è compatibile con il rafforzamento della democrazia brasiliana.
 
La crescita attuale, a differenza dei diversi periodi di espansione che hanno caratterizzato l’economia brasiliana nell’arco del xx secolo, è ancorata a parametri macroeconomici abbastanza solidi. Dal 1994, quando è stato realizzato il Plano real, l’iperinflazione è stata debellata e da allora l’inflazione si è mantenuta su una sola cifra; il debito estero si è fortemente ridotto e il Paese ha saldato i suoi conti in sospeso nei confronti del Fondo monetario internazionale; dal 2000 il governo federale registra entrate superiori alle spese (al netto degli interessi sul debito pubblico).
Questi risultati sono stati resi possibili, in parte, dall’aumento delle riserve internazionali, frutto dell’espansione dei mercati finanziari internazionali e della buona performance delle esportazioni brasiliane. L’opportunità non è stata sprecata dai governi Cardoso e Lula, che hanno cercato di garantire la sostenibilità dei conti pubblici tramite strumenti come la legge della responsabilità fiscale, del 2000, che ha frenato l’indebitamento dei municipi e degli Stati federali. Risale ai governi Cardoso, inoltre, lo sforzo di semplificazione del sistema tributario brasiliano e l’aumento del carico fiscale, che è passato tra il 1994 e il 2002 dal 27% al 34% del Pil.
 
Il principale strumento della politica sociale di Lula è stato quello dei trasferimenti condizionali di reddito (Tcr), conosciuto in Brasile come Bolsa familia. I Tcr erano stati sperimentati con successo in Messico (dove sono tuttora un pilastro della politica sociale), mentre il governo Cardoso aveva creato alcuni programmi più specifici come il Bolsa escola, assieme a un primo tentativo di elaborare un registro nazionale delle famiglie in situazione di estrema vulnerabilità. Il governo Lula ha ricondotto le iniziative del governo precedente ad un unico programma, attuato sotto forma di un trasferimento di circa 12 dollari al mese per bambino in età scolare, per un massimo di tre bambini a famiglia, purché frequentassero la scuola e si sottoponessero ai controlli medici e alle vaccinazioni previsti dalla legge. In più, il programma prevede un trasferimento di circa dollari al mese a tutte le famiglie in situazione di estrema povertà (anche senza bambini). I trasferimenti sono erogati direttamente dal governo federale alle famiglie, preferibilmente al capo famiglia femminile, senza l’intermediazione dei governi locali, riducendo così notevolmente i rischi di corruzione e di uso politico dei trasferimenti.
Un terzo elemento che ha contribuito allo slancio dell’economia brasiliana è quello della politica estera, imperniata sul rafforzamento dei rapporti sud-sud, cosa che si è rivelata particolarmente importante vista la crisi in cui sono sprofondati i Paesi del nord. Il risultato più evidente è stato il notevole aumento degli scambi commerciali con la Cina, che è diventato il primo mercato per le esportazioni brasiliane e il secondo partner commerciale (dopo gli Stati Uniti) per le importazioni. La dimensione dei rapporti con la Cina non deve tuttavia far perdere di vista il considerevole sforzo di diversificazione dei rapporti economici compiuto dal governo Lula, soprattutto in ambito sudamericano, ma anche in direzione dei Paesi del Medio Oriente. Anche l’Africa sub-sahariana è entrata saldamente nelle priorità sia del ministero degli Esteri, sia dello stesso presidente Lula, che ha effettuato diversi viaggi nel subcontinente e l’ha collocato in cima alle aree destinatarie della cooperazione internazionale brasiliana.
 
La crisi economica internazionale che è scoppiata negli ultimi mesi del 2008 ha colpito il Brasile esattamente alla metà del secondo governo Lula. Il governo ha potuto affrontare la tempesta della crisi senza mettere a repentaglio i progressi e le conquiste degli anni precedenti: ha mantenuto e rafforzato le misure di sostegno al consumo interno, il Bolsa familia, l’aumento del salario minimo, l’espansione del credito al consumo e adottato provvedimenti straordinari di sostegno al settore bancario e ad alcuni settori industriali, come l’industria automobilistica. Un ruolo centrale nella strategia del governo è stato svolto dalle banche pubbliche, che sono riuscite a garantire l’offerta di credito all’economia supplendo alla contrazione del credito privato. Dopo un calo iniziale delle esportazioni, il dinamismo dei Paesi asiatici ha contribuito a trainare l’economia brasiliana fuori dalla crisi. Guardando al futuro, l’economia brasiliana presenta decisamente molti elementi a favore, come il profilo demografico del Paese, il livello avanzato di ricorso alle energie rinnovabili e le ingenti riserve di petrolio offshore recentemente scoperte. Le politiche realizzate dai due governi Lula hanno portato un attacco frontale alla povertà estrema; il loro successo ha generato una forte espansione del mercato interno e l’integrazione in esso di regioni che erano rimaste finora ai margini. La sfida del governo Rousseff sarà quella di coniugare la crescita del mercato interno con un migliore inserimento del Brasile nell’economia mondiale e con il rafforzamento della competitività del Paese nella produzione di beni ad alta tecnologia. L’adozione di una politica industriale attiva, in grado di generare occupazione e, allo stesso tempo, l’aumento della produttività e della capacità di innovazione devono andare di pari passo con investimenti nella ricerca e soprattutto con quello che è diventato chiaramente il principale deficit economico e democratico del Brasile: la scarsissima qualità dell’educazione di base.
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