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Incantesimi digitali o solo bluff?

Quando, il 4 novembre 2008, Barack Obama è stato eletto presidente degli Stati Uniti, i suoi “fan” su Facebook erano oltre tre milioni, mentre il suo avversario John McCain non superava i 600mila. A due anni di distanza, Obama ha più che quintuplicato i suoi sostenitori sul social network più popolare del mondo: sono quasi diciassette milioni e aumentano al ritmo di oltre 200mila a settimana. Si tratta di una crescita notevole se si pensa che nello stesso periodo la popolarità di Obama è diminuita drasticamente: dal 68% nel gennaio 2009 al 41% nell’ottobre 2010, con una moderata risalita al 46% a fine 2010.
La popolarità del presidente su Facebook è straordinaria anche se la si confronta con gli altri soggetti che occupano la sfera pubblica: la sua pagina è la diciassettesima per numero di fan fra tutte quelle ospitate su Facebook e prima di lui ci sono solo attori, cantanti e musicisti, oltre al poker “alla texana”. La first lady Michelle oggi conta 3,3 milioni di fan, mentre l’unico altro politico che compare fra i cinquecento soggetti più popolari su Facebook è la repubblicana Sarah Palin, che conta due milioni e mezzo di sostenitori.
 
I social network e Facebook in particolare possono svolgere una funzione rilevante per un politico: mentre siti web e blog attirano prevalentemente pubblici già interessati alla politica, i social network sono utilizzati da una platea più trasversale. Insomma, Facebook costituisce un esempio di quelli che il sociologo Ray Oldenburg chiama “luoghi terzi”, diversi cioè sia dalla casa, spazio del privato, sia dai luoghi di lavoro: nei luoghi terzi, come i bar e le piazze, ci si ritrova informalmente e si rafforza il senso di comunità attraverso l’interazione da pari a pari.
Nella campagna di Obama, Facebook è stato certamente uno degli strumenti più significativi, ma la sua importanza non deve essere mitizzata. In primo luogo, il candidato democratico era presente in almeno una quindicina di altri social network. Secondo, Facebook non è stato lo spazio online più importante della campagna: la presenza di Obama sui social network serviva a raggiungere persone da indirizzare sul suo sito, dove era possibile partecipare concretamente sul territorio. Diventare amici o fan del candidato, insomma, era solo un primo passo, anche se alcune iniziative, come l’invito a “donare il proprio status” su Facebook per ricordare ai propri amici di votare per Obama, hanno avuto una diffusione considerevole. Terzo, tutte le attività su Internet della campagna di Obama, compresi i social network, erano funzionali a mobilitare risorse offline, per cui i sostenitori del candidato erano incentivati a uscire dalla Rete e contribuire fattivamente alla campagna, organizzando o prendendo parte a vari eventi e iniziative.
 
A metà del mandato presidenziale, sembra che la popolarità online di Obama e la sua capacità, da candidato, di tradurla in sostegno attivo e partecipazione sul territorio, non siano servite a frenare il calo dei suoi consensi. Inoltre, la Rete non ha avuto un ruolo significativo nella “campagna permanente”, il processo di continua ricerca del favore dell’opinione pubblica sui provvedimenti legislativi: lo hanno dimostrato le difficoltà che il presidente ha incontrato nel fare approvare la sua riforma sanitaria, della cui bontà non è riuscito a convincere la maggioranza degli americani. Come si può spiegare questa differenza fra l’Obama candidato e l’Obama presidente?
Una delle ragioni delle difficoltà del Presidente deriva dal fatto che la partecipazione alla sua campagna è stata più simile a quella che avviene in un movimento sociale che alle classiche forme di coinvolgimento che interessano partiti e candidati. In un movimento le identità sono fluide, le parole d’ordine vaghe e simboliche, l’organizzazione un compromesso fra le richieste del vertice e le preferenze della base. Mentre un candidato può permettersi di affidarsi all’effervescenza di un movimento, un presidente deve proporre scelte politiche concrete e ha bisogno di controllare con precisione i messaggi che provengono dal suo entourage e dai suoi sostenitori perché rappresenta un’istituzione e deve negoziare con un’altra istituzione autorevole come il Congresso. Come tutti i suoi predecessori, Obama ha l’esigenza di gestire le comunicazioni della Casa Bianca, il che limita le possibilità di coinvolgere i suoi sostenitori in Rete. Anche per questo motivo, sono le opposizioni che normalmente riescono a utilizzare Internet con maggior profitto, cosa che è accaduta dopo l’elezione di Obama con il successo dei Tea Parties conservatori, nati e organizzati in buona parte in Rete.
 
Una seconda considerazione riguarda l’integrazione che si sta verificando in misura crescente fra i vari media. Nel 2008 Obama non è stato soltanto il “candidato di Internet”, ma soprattutto il “candidato della convergenza”: la sua campagna era organizzata per sfruttare il meccanismo per cui un messaggio può essere diffuso attraverso la televisione, ripreso dai blog e dai social network (facendo leva sui sostenitori online del candidato), riprodotto nella comunicazione interpersonale e nelle attività sul territorio (attraverso una rete organizzativa capillare e ben finanziata e addestrata), in un processo complesso in cui ciascun canale fornisce un contributo specifico e raggiunge una parte precisa di pubblico. La Rete, dunque, ha costituito una delle tessere di un mosaico complesso, non il mezzo esclusivo con cui Obama ha raggiunto e mobilitato i suoi elettori. Oggi quindi la comunicazione online del presidente risente anche delle difficoltà che sta incontrando sugli altri media.
 
Occorre poi riconoscere che Internet, più che costituire il “motore” di dinamiche di cambiamento sociale e politico, è piuttosto un “canale” con cui si possono propagare. Nel 2008 la Rete ha consentito a Obama di trasformare rapidamente la sua popolarità in risorse tangibili come finanziamenti, volontari, contatti interpersonali online e offline: senza la rete, questo processo sarebbe stato più lento e difficoltoso. Ora che una parte dei seguaci del presidente si interroga sulla sua capacità di mantenere le promesse e che i suoi oppositori sono galvanizzati dal desiderio di rivincita, la Rete funge da canale di trasmissione di questi atteggiamenti ostili.
Insomma, se Obama ha dimostrato una capacità di innovazione superiore ai suoi avversari nell’impiegare Internet come strumento di campagna elettorale, non è detto che sia in grado di trarne lo stesso beneficio anche come strumento di governo: non sempre le logiche comunicative e, soprattutto, organizzative della campagna coincidono con quelle dell’amministrazione.
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