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Riflessioni di un antinuclearista pentito

Gli ambientalisti di vecchia data, quando parlano della tecnologia nucleare si riferiscono solo a quelli che considerano i quattro grandi problemi che la condannano: sicurezza, costi, stoccaggio delle scorie e proliferazione. Il risultato della mia riflessione è una forte convinzione che l´energia nucleare debba essere sviluppata, e grazie a questa prospettiva vedo i problemi della sicurezza, dei costi, della gestione dei rifiuti e della proliferazione in modo diverso rispetto al passato. Ho imparato a mettere in discussione gran parte di ciò che mi era stato detto dai miei colleghi ambientalisti, e ora penso a quei quattro elementi come farebbe un ingegnere, considerandoli come problemi di progettazione, che necessitano cioè di essere definiti e impostati nel modo corretto affinché si trovi una dannata soluzione e la si applichi. La sicurezza dei reattori è un problema già risolto. Nel 2008 443 reattori nucleari per uso civile in tutto il mondo hanno prodotto il 16% dell´elettricità globale, tenendo fuori dall´atmosfera, ogni anno, 2,7 gigatonnellate di biossido di carbonio, che sarebbero state altrimenti generate dalle centrali a carbone. Dopo i duri insegnamenti tratti dall´incendio di Windscale, in Inghilterra (avvenuto nel 1957), dalla fusione del nocciolo di un reattore a Three Mile Island (nel 1979) e dall´esplosione di vapore di Chernobyl (nel 1986), anno dopo anno il settore ha portato avanti la sua attività senza riportare incidenti significativi. «Dal momento che un altro incidente segnerebbe la fine dell´intero settore nucleare in tutto il mondo − sostiene Tim Flannery − si è fatto molto per minimizzare il rischio. Di conseguenza le nuove tecnologie nucleari sono relativamente sicure». Bill McKibben ha un altro punto di vista: «Il nucleare potrebbe essere una minaccia per la sicurezza se qualcosa andasse storto. Le centrali a carbone, invece, riempiono l´atmosfera di carbonio che surriscalda il pianeta e sono una garanzia di distruzione quando funzionano come dovrebbero».
 
Se a regnare saranno soltanto le forze di mercato, il carbone continuerà a battere tutto il resto e noi ci troveremo davvero in un mare di guai. Questa presa di coscienza è sufficiente a motivare persino i governi di società fortemente capitaliste come quelle di Stati Uniti e Inghilterra: grazie a carbon tax, cap-and-trade, richieste di ccs (cattura e stoccaggi del biossido di carbonio) e apposite normative il carbone diventerà più caro, e nella competizione per fornire l´elettricità necessaria al carico di base il nucleare diventerà l´alternativa più efficiente in termini di costo. C´è da dire che, a fronte di un carbone paralizzato, risulteranno avvantaggiati anche eolico, idroelettrico, cogenerazione, solare e geotermico.
A mio giudizio, per intraprendere un percorso ambientalista è necessario che i Verdi si rendano conto che il settore dell´energia nucleare si svilupperà a prescindere da ciò che facciamo. La pura e semplice opposizione ne ostacolerebbe la crescita, e la rallenterebbe rendendola più costosa, non sistemica e pericolosamente scoordinata. Se invece la incoraggiassimo nel modo giusto disporremmo di un´energia in grado di minimizzare le concentrazioni di carbonio nell´atmosfera, interagire bene con altre forme di energia pulita o superefficiente, generare altri servizi verdi come la desalinizzazione dell´acqua o la produzione di idrogeno, utilizzare torio e uranio (con conseguenze minime per l´ambiente), contribuire all´eliminazione delle armi nucleari, fornire energia sicura alle città riducendo la povertà nel mondo e, infine, uscire elegantemente di scena in caso si presentasse un´alternativa migliore.
 
I Verdi più convinti potrebbero promuovere con particolare entusiasmo i microreattori di prima qualità perché trovino acquirenti: potremmo fare pressioni perché nella prossima versione del Protocollo di Kyoto non si ripeta il vergognoso errore di negare i crediti di emissione per l´energia nucleare e affinché i progetti dei vari reattori diventino di dominio pubblico, per permettere la correzione di eventuali errori e conquistare la fiducia dell´opinione pubblica. Potremmo incoraggiare le navi commerciali a investire nella propulsione nucleare: dal trasporto marittimo deriva infatti il 4% delle emissioni di gas serra (il doppio di quelle generate dal traffico aereo). Infine, nel promuovere lo sviluppo delle automobili plug-in, dovremmo ricordare che riducono le emissioni di carbonio soltanto se l´elettricità che consumano proviene da fonti verdi, come il nucleare, l´eolico, l´idroelettrico, il solare.
Se l´idrogeno diventasse un combustibile pratico potrebbe influenzare lo sviluppo di reattori di IV generazione ad alta temperatura specializzati nella produzione di questo elemento. Le stesse macchine potrebbero inoltre farsi carico della desalinizzazione, che costituisce la fonte di acqua a più elevato consumo energetico e il modo meno dannoso a livello ambientale di rifornimento idrico per le zone costiere sempre più popolate. Poiché oggi il carbone è considerato l´orrore sistemico a lungo termine che una volta pensavamo fosse il nucleare, dovremmo monitorare attentamente l´effettiva efficacia dei disincentivi all´uso di questo combustibile, e assicurarci che funzionino realmente. Infine, per incoraggiare la fiducia dell´opinione pubblica e la familiarità con il nucleare, potremmo seguire l´esempio di Francia e Svezia, e aprire tutti i reattori a visite pubbliche; il fatto che un terzo degli svedesi abbia visitato una centrale nucleare credo aiuti a spiegare perché l´80% della popolazione sostenga il loro utilizzo.
 
Per convincere i nostri amici ambientalisti ancora scettici potremmo citare Roger Revelle (il mentore di Al Gore che finanziò quegli studi sul biossido di carbonio atmosferico che per primi rivelarono la scomoda verità sul cambiamento climatico): considerava il nucleare come “molto più innocuo” di altre fonti energetiche, al punto da dichiarare: «Quel che dovremmo fare è imitare i francesi e i giapponesi, che non hanno alcuna fobia del nucleare». Possiamo perfino invocare il Sierra Club, che tra la fine degli anni Sessanta e inizio degli anni Settanta sostenne questa tecnologia come fonte di energia preferibile alle dighe idroelettriche. Aveva ragione.
L´atmosfera risponde all´insieme di tutte le attività umane, e le decisioni degli Stati Uniti in merito al nucleare non rappresentano certo l´evento principale.
Circa la metà dell´India non è collegata alla rete elettrica, e la poca elettricità che c´è proviene da generatori locali alimentati a gasolio.
Cinque persone su sei vivono nei Paesi in via di sviluppo; su scala globale questo significa che attualmente, nel 2010, stiamo parlando di 5,7 miliardi di persone. In un modo o nell´altro i poveri del mondo riusciranno ad avere accesso a una rete elettrica, e la fonte di quell´elettricità determinerà il futuro del clima.
 
Estratto dal libro Una cura per la Terra, edizioni Codice-Enel, 2010, per gentile concessione dell´autore
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