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L’arte della guerra (informatica)

Di Fabio Pinna
Le rivelazioni pubblicate da Wikileaks hanno recentemente scosso il mondo della diplomazia portando alla ribalta diversi aspetti di problematiche fino ad oggi spesso trascurate. In primo piano il ruolo di Internet nella diffusione di notizie e del condizionamento dell’opinione pubblica su scala internazionale, in seconda battuta è risultato evidente che falle nei sistemi informativi e di comunicazione di un Paese possono portare alla fuoriuscita di notizie potenzialmente pericolose.
Ma cosa è cambiato nel mondo dopo queste rivelazioni? Non sono stati creati squilibri evidenti e in alcuni casi si sono visti solamente confermati sospetti già circolanti, tuttavia l’opinione pubblica è stata colpita dalla relativa semplicità con cui un sito Internet è riuscito a mostrare le attività segrete della diplomazia statunitense, e come questa abbia dovuto a più riprese scusarsi e correggere il tiro. Inoltre tutto ciò è stato molto spesso visto come un incentivo per i governi ad operare in maniera trasparente rendendo difficile screditare l’organizzazione stessa.
Cambierà qualcosa nelle relazioni fra Stati? Probabilmente no, dato che ragionevolmente ogni governo ha informazioni di questo tipo provenienti dalle ambasciate sparse per il mondo. Cambierà il modo di fare diplomazia? Forse, dato che i redattori dei cablogrammi saranno consapevoli del fatto che quei messaggi potrebbero essere letti anche da altri occhi. Cambierà la percezione della gente e dei governi nei confronti delle tecnologie digitali come possibile nuova minaccia alla sicurezza nazionale? Sicuramente sì.
Se Wikileaks ha di per sé agito alla stregua di un organo di stampa (ha cioè semplicemente pubblicato del materiale in suo possesso), le modalità con cui le notizie relative all’ultimo scandalo sono state recuperate hanno, se confermate, dell’incredibile: l’accesso ad una rete governativa ed il caricamento dei dati su una semplice memoria portatile. Tutto sommato il tipo di attività sarebbe rimasto di stampo tradizionale anche se svolta con mezzi moderni e tecnologici. La particolarità del caso è legato quindi all’influenza mediatica che le nuove tecnologie possono avere sull’opinione pubblica e non ad una nuova tecnologia, ne tanto meno ad un’azione di spionaggio come paventato da alcuni. Questi cablogrammi avrebbero potuto essere pubblicati direttamente da altri giornali se questi ne fossero entrati in possesso. Il motivo per cui è stata Wikileaks, e non altri, ad arrivare per prima è da ricercare nella credibilità che si è costruita negli ultimi anni; nonostante ciò il sito stenta ancora ad essere accomunato ad una testata giornalistica on line. A questo riguardo è sufficiente vedere la richiesta, da parte di alcuni senatori americani, di portare un attacco a Wikileaks. Se l’invito a far chiudere il sito con le buone o con le cattive fosse stato proposto contro un quotidiano tradizionale, la carriera politica del senatore sarebbe stata a tutti gli effetti negativamente segnata.
Eppure i pericoli legati al mondo informatico non vanno sottovalutati. Di recente il virus Stuxnet ha dimostrato come la guerra digitale sia uno scenario non più futuribile ma reale. Questo software virale è stato confezionato specificatamente con l’intenzione, sembra, di colpire un apparecchio industriale usato nel processo di arricchimento dell’uranio: non un prodotto qualsiasi ma un apparecchio realizzato da Siemens. Naturalmente l’attacco non è stato rivendicato ma risulta evidente agli analisti che la messa a punto del suddetto virus ha richiesto la disponibilità di risorse non indifferenti, soprattutto per quanto riguarda la conoscenza di processi industriali, di componenti e falle specifiche. Il virus è presente principalmente in Iran e anche questo contribuisce ad alimentare i sospetti di una vera e propria guerra informatica. Mandare fuori uso alcuni dei gangli vitali di un Paese prima o durante un conflitto è quindi non solo possibile già ora, ma una mossa estremamente efficace capace di alterare gli equilibri di potere in qualsiasi area senza che il mandante sia immediatamente identificabile.
Ancora fresca è la notizia di un dirottamento del 15% del traffico dati Internet nella primavera del 2010 attraverso dei server cinesi. Le comunicazioni in questo caso non sono state interrotte ma “semplicemente” deviate portando in questi server tutti i dati che sarebbero dovuti passare altrove. La pericolosità di una simile manovra sta nel fatto che l’utente, non vedendo alcuna interruzione del servizio, non ha possibilità di intervenire e mettere in sicurezza le sue comunicazioni. Il flusso di dati potrebbe includere qualsiasi tipo di informazione segreta o meno, come email governative, decisioni strategiche o altro. Nonostante i messaggi sensibili siano cifrati, il possesso di questi dati è di indubbio valore per chi vuole farne cattivo uso. Al momento è difficile capire le implicazioni di questo avvenimento o anche solo discernere fra l’incidente tecnico e il vero e proprio spionaggio su Internet, così come è arduo capire quali tipi di dati siano stati deviati. L’unica cosa certa è che l’avere affidato alla rete una buona parte delle comunicazioni nazionali è una mossa che deve essere affiancata da una seria pianificazione anche in termini di sicurezza.
Come cambierà quindi la scenario nei prossimi anni? Sicuramente una parte di finanziamenti sempre più cospicua dovrà andare ad attività di intelligence e alla produzione di armi informatiche pronte ad essere utilizzate in casi di necessità. Ancora di più bisognerà prestare attenzione alle difese passive e all’educazione degli utenti. Ancora oggi l’utente è una prima barriera molto importante contro le infezioni informatiche e l’educazione del personale non informatico ai tipi di minacce rivestirà un ruolo sempre più determinante.
Avvenimenti come la fuga di notizie pubblicata da Wikileaks, ma anche gli altri esempi riportati non devono lasciare perplessi né devono indurre l’illusione che allontanarsi dalla rete sia la chiave per evitare problemi più grossi, anzi abbandonare la rete significa lasciare definitivamente ogni velleità competitiva ed essere rapidamente relegati al ruolo di comprimari. D’altro canto le minacce e i pericoli per un Paese sono cambiati insieme alle tecnologie e la soluzione non è mai stata la fuga: l’ottima conoscenza delle tecnologie attuali e lo sviluppo di competenze ancora più avanzate saranno la chiave del successo delle politiche anche per la sicurezza nazionale.
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