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Prove di nuova guerra fredda

Un paio di mesi fa, mi capitò di partecipare ad una giornata di studi sul “modello Cina”, cui partecipavano docenti delle migliori università cinesi ed americane, oltre che, ovviamente, docenti italiani; verso la fine, qualcuno dal pubblico chiese ad un docente americano se ritenesse veritiere le affermazioni dei cinesi che paventano una loro recessione – con conseguenti costi sociali e politici – in caso di sensibile rivalutazione del renminbi. L’interpellato iniziò la sua risposta (in italiano) dicendo letteralmente “E chi se ne importa?”. Insomma, questi erano problemi dei cinesi che non riguardano noi occidentali che dobbiamo badare ai nostri interessi imponendo una forte rivalutazione della moneta cinese. Aggiunse poi qualche frase d’occasione per dire che comunque non credeva che le conseguenze di essa sarebbero state poi così gravi e che i cinesi esageravano. Rimasi sbalordito dalla risposta, che mi sembrò rozza e totalmente incongrua sulle labbra di un intellettuale che insegna in una importante università americana. Ma dopo, pensandoci, ne capii la logica interna: vere o sbagliate che fossero quelle previsioni e giusto o ingiusto che fosse prendere quella decisione, i cinesi si sarebbero comunque opposti alla richiesta americana, quindi occorreva piegare la volontà cinese alla propria.
 
Il nuovo clima dilegua il fantasma del G2 e la guerra valutaria tende ad investire altri terreni: se gli Usa manovrano il rating per far ballare Borse e monete al suono della loro musica, i cinesi formano la loro agenzia di rating. Se gli americani tassano tubi e pneumatici provenienti dalla Cina, Pechino blocca l’importazione di polli dagli Usa perché danneggiano la produzione nazionale. Se l’occidente – con ritardo ventennale – si accorge del dissenso cinese e conferisce il Nobel a Liu Xiaobo, la Cina risponde istituendo il “Premio Confucio” ed organizzando la diserzione della cerimonia a Stoccolma di una ventina di Paesi. Se gli Usa soffiano sul fuoco del Tibet e degli uiguri, i cinesi rispondono buttando fuori Google e profilando la minaccia di una guerra di motori di ricerca, al punto che Google è costretta a piegarsi ed accettare le condizioni dei cinesi per rientrare. Insomma tutto lascia intendere che ci si stia avviando ad una nuova Guerra fredda che, forse, tanto fredda non sarà.
 
Il terreno dove si stanno cogliendo più numerosi segnali di questa nuova Guerra fredda è il web. Già si è detto dello scontro fra cinesi ed americani sulla vicenda Google, e proprio nel pieno di esso, un rapporto del governo americano affermava che, il 4 aprile 2010, tramite la società China Telecom, una parte significativa del traffico Internet mondiale sarebbe stato dirottato verso server cinesi. Non è chiaro se si sia trattato di tutto il traffico mondiale o solo di una porzione minoritaria, ma sembra che, per ben 18 minuti, i tecnici cinesi, avrebbero “fatto credere”, ad una parte degli apparati predisposti per instradare il traffico della rete, che la via migliore per comunicare i messaggi fosse quella di farli passare attraverso un server cinese. Anche se i dati dirottati sono poi arrivati ai destinatari finali, la cosa ha una sua gravità, anche perché sembra (ma la cosa non è affatto sicura) che fra i dati dirottati vi fossero presenti anche quelli di agenzie governative statunitensi. L’ipotesi è poco tranquillizzante, perché, se vera, significherebbe che già è in corso uno scontro per il controllo dell’info-sfera e un episodio successivo contribuisce a far crescere l’inquietudine: il 23 ottobre i tecnici americani si sono trovati nella condizione di non poter comunicare con ben 50 dei 450 missili Icbm che gli Stati Uniti dichiarano di mantenere sul suolo americano, inoltre numerosi sistemi di sicurezza (fra cui quelli di controllo delle testate) sono rimasti fuori uso per circa un´ora. Le dichiarazioni ufficiali non hanno chiarito nulla, parlando del cattivo funzionamento di un componente hardware, nonostante le numerose opere di ammodernamento e manutenzione svolte sino a poco prima. Poco dopo, un nuovo stranissimo incidente. Fra il 6 e il 14 novembre, mentre Barack Obama era impegnato in una visita in Asia, un missile intercontinentale partiva dalla costa ovest degli Stati Uniti e non è stata data alcuna spiegazione del fatto conclusosi, fortunatamente, senza conseguenze. La coincidenza fra la visita di Obama in Asia e questo lancio non sembra casuale. Nel suo viaggio in Asia Obama ha visitato diversi Paesi percorrendo quella che geograficamente può essere definita un “cintura di contenimento” della Cina. India, Indonesia, Corea del Sud e Giappone. Dopo ha incontrato russi e cinesi. In questa situazione già ricca di segnali inquietanti si è abbattuto il ciclone Wikileaks, definito da Frattini “l’11 settembre della diplomazia”. Una definizione forse esagerata, ma non lontana dalla verità.
 
I toni della maggioranza dei mass media sono spesso stati sdrammatizzanti (“tutto qui?”), ma la cosa in realtà è tutt’altro che irrilevante. Con ogni probabilità, siamo in presenza di una delle più vaste e sofisticate operazioni di intelligence che siano mai state attuate. È anche possibile che Assange e i suoi amici siano davvero quello che dicono di essere, questo però non impedirebbe che, attraverso un’azione intossicativa, essi possano essere i veicoli, più o meno coscienti, di una operazione di guerra informativa. Ed è esattamente quello che pensiamo.
I sospetti principali sono quattro: a) una manovra interna ai servizi americani in funzione anti Obama; b) i servizi segreti cinesi in funzione anti Usa; c) i servizi israeliani per attizzare il fuoco contro l’Iran; d) i servizi russi anche in funzione anti Usa.
Per capirne di più occorrerà vedere se Wikileaks pubblicherà i documenti preannunciati sulle banche e di che si tratta. Se la portata dei documenti fosse tale da provocare un terremoto finanziario, perderebbe quota la pista interna e, in una certa misura, anche quella israeliana (degli Usa paralizzati da una crisi finanziaria sarebbero anche assai meno disposti ad una guerra con l’Iran). Simmetricamente crescerebbero le seconde due piste e in particolare quella cinese, in diretta relazione con il contenzioso valutario.
Viceversa, se le cose restassero come sono, o le rivelazioni sulle banche fossero acqua fresca, si rivaluterebbero le prime due ipotesi a scapito delle seconde. È evidente che lungo la rete, che ormai è il vero sistema nervoso del mondo, corrano i segnali di questa nuova e diversa Guerra fredda che vede più che mai i servizi di intelligence come i suoi indiscussi protagonisti.
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