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La vita, tra libertà e ordine

“In un conflitto tra libertà e ordine, il predominio incondizionato spetta al punto di vista dell’ordine”. Le parole di Franz Bohm mi sono venute in mente dinanzi al costume ormai invalso nel Belpaese di esprimere opinioni su tutto e tutti. Non si contano le trasmissioni che Rai e Mediaset hanno dedicato alla scomparsa di Yara, all’omicidio di Sarah e Meredith. Sedicenti esperti e opinionisti si sono lanciati in ricostruzioni e giudizi su fatti i cui elementi sono ancora ignoti agli stessi inquirenti. E sulla loro scia, anche in strada nessuno più esita a dire la sua su questo o quell’evento purché, ovviamente, ci sia un microfono pronto a registrare. Così abbiamo sentito gli italiani commentare l’utilità delle cellule staminali, che ancora divide i ricercatori; il ritorno all’energia nucleare, dibattuto dai tecnici di tutto il mondo; le fughe di notizie di Wikileaks, ancora inspiegabili ai governi dell’una e dell’altra parte dell’Oceano. Qualcuno premette un “secondo me”: un incipit che rappresenta, forse, l’ultima traccia del pudore con cui le precedenti generazioni si accostavano ai grandi temi ma che, nel relativizzare il giudizio, legittima la prospettiva con la quale il giudizio è reso: quella del soggetto che si propone come autorità a sé. Ecco perché vengono alla mente le parole di Bohm. Se a cavallo del millennio la libertà è finalmente riuscita a diventare il valore nel quale si riconosce la stragrande maggioranza degli italiani, è altresì vero che, nella interpretazione che se ne dà nella vita quotidiana, essa si traduce in una esaltazione dell’individualismo che sconfina nell’anarchia. Tutti credono di poter avere una opinione su tutto e la misura è data dalla propria personalità. Basta vedere qualche minuto del Grande Fratello per rendersi conto di come la cifra dei rapporti tra gli abitanti della “casa” sia data dalla continua rivendicazione del diritto di potersi esprimere liberamente.
 
Già Allan Bloom, ne La Chiusura della mente americana, aveva denunciato come il principio costituzionale della libertà di pensiero fosse diventato, nella vulgata, diritto alla libertà di espressione. Che vive e si alimenta più di sentimento che di ragione, per cui quando pretende di giustificare azioni e omissioni si scontra con l’altrui pretesa, scatenando una conflittualità insanabile perché il sentimento non conosce la mediazione del logos. Torna allora attuale la riflessione di Robert A. Nisbet che, ne La Comunità e lo Stato, ha dimostrato come il processo di soggettivizzazione condanni l’uomo moderno alla solitudine e allo smarrimento perché dinanzi agli eventi emerge la sua debolezza costitutiva. Per Nisbet la risposta è nella rivalorizzazione delle comunità. Come quella familiare, scolastica, religiosa, professionale. La comunità è portatrice di una visione della vita e costituisce “una parte determinante nel nostro sistema istituzionale di aiuto reciproco, benessere, educazione, ricreazione, produzione economica e distribuzione”. La comunità è ordine e l’ordine ha una funzione antropologica. Non si tratta di tornare ad un passato nel quale l’uomo era schiavo della condizione ereditata da chi lo aveva generato. Si tratta piuttosto di andare oltre il presente, di superare l’anarchia, recuperando la dimensione relazionale della libertà intorno al triplice limite che scandisce la vita biologica: nascita, sesso e morte. Scrive Alain Supiot: «Conferire un senso alla nascita, alla nostra nascita
e a quella dei nostri figli, significa comprendere che ci inscriviamo all’interno di una catena generazionale, che siamo debitori della vita, e attraverso ciò comprendere l’idea di causalità. Riconoscere la nostra natura sessuata significa comprendere che incarniamo soltanto una metà del genere umano, che abbiamo bisogno dell’altro, e attraverso ciò comprendere l’idea di differenziazione, imparando a rapportare la parte al tutto. Introiettare l’idea della morte significa riconoscere che il mondo continuerà a esistere dopo di noi, che la nostra vita è sottoposta a un’istanza che va al di là di noi, e attraverso ciò comprendere l’idea di norma (Homo juridicus)».
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