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Bussola latinoamericana

Argentina
Il Paese gaucho, l’ottava nazione più grande al mondo, ha vissuto due gravi momenti di difficoltà finanziaria: nel 1929 e nel 2001. Dopo essere stato uno dei Paesi più prosperi del pianeta nel 1913, il suo Pil era il nono nella scala mondiale, grazie alla ricca esportazione agricola e all’industria diversificata, la nazione è stata colpita dalla crisi economica mondiale del ‘29. La vulnerabilità economica e sociale fece precipitare l’Argentina nel regime dittatoriale di Hipólito Yrigoyen. Nel 1946 si insediò il generale Juan Perón, padre del peronismo, che era concepito come una terza via tra il socialismo e il capitalismo, ma con molti tratti autocratici. La sua seconda moglie, Evita Perón, è divenuta un’icona mondiale a favore dei più bisognosi. Nel 1983, l’Argentina torna ad essere un Paese democratico dopo la guerra delle Malvine. Alla fine degli anni ‘80, con il mandato dei fratelli Eduardo e Carlo Menem, il Paese accumulò un grosso debito estero che fece arrivare l’inflazione al 200%, senza una solida produzione interna che potesse sostenerlo. L’instabilità economica e la sfiducia politica sono esplose in una rivolta popolare a Natale del 2001. Più del 60% della popolazione è rimasta in stato di povertà estrema. Soltanto l’11% della popolazione, la cosiddetta classe media, è riuscita a resistere a questa crisi. Violente proteste popolari hanno fatto cadere il governo di Fernando De la Rúa; in una settimana, l’Argentina vide passare sette capi di Stato.
Come misura preventiva, il governo aveva stabilito il blocco dei movimenti bancari per evitare la fuga di capitali con un’operazione estrema chiamata “corralito”, per cui milioni di persone sono rimaste senza risparmi. Dopo il governo di Eduardo Duhalde e la politica economica condotta da Néstor Kirchner, ex governatore della regione di Santa Cruz, nel 2004 l’Argentina è riuscita a crescere economicamente, con il conseguente aumento della produzione interna e degli stipendi. Non mancano le polemiche, per il settore agricolo, ma la gestione del presidente attuale Cristina Fernández de Kirchner mantiene la tendenza positiva. Nel 2010 la crescita è passata dal 6,8% all’8,3%, anche con l’aumento della spesa pubblica. Invece per il 2011 sarà minore, per una riduzione degli investimenti stranieri prima delle elezioni.
 
Brasile
Da più di 50 anni il Brasile è considerato il Paese del futuro. Ma forse l’avvenire è già arrivato. Il cosiddetto continente carioca, dentro il continente latinoamericano, è uno dei Paesi Bric, un’economia emergente che lo posiziona come il secondo esportatore mondiale di materie prime agricole. È il secondo partner commerciale della Cina e le prospettive di aumento del Pil sono promettenti. Il Brasile conta su molte risorse petrolifere e minerali, ma allo stesso tempo si è impegnato a sviluppare i settori industriali, il che ha contribuito alla crescita economica del Paese e alla notevole diminuzione della povertà. Nel 1930 Getúlio Vargas arrivò alla presidenza dopo un colpo di Stato. È rimasto al potere fino al 1945. Tra gli anni ‘60 e ‘70 il Brasile ha subito una violenta dittatura militare indirettamente istituita attraverso la Cia americana con lo scopo di contrastare le idee rivoluzionarie comuniste che proliferavano all’epoca, in particolare a Cuba. Da quando l’ex sindacalista e operaio Luiz Inácio Lula Da Silva ha vinto le elezioni presidenziali nel 2002, la politica economica brasiliana si è orientata a contrastare la povertà, le disuguaglianze sociali, la violenza urbana, con una più giusta distribuzione delle terre e lo sviluppo ulteriore del settore turistico. Entro il 2014 è atteso un aumento tendenziale del Pil del 5% motivato dai preparativi per la Coppa del Mondo del 2014 e un incremento della spesa pubblica per via delle elezioni presidenziali.
 
Cile
Anche dopo la morte del presidente socialista Salvador Allende, e col regime del dittatore Augusto Pinochet, il Cile godeva di stabilità economica. Era stato il primo Paese latinoamericano ad abbracciare le politiche di libero mercato negli anni ‘70. Il trend economicamente positivo continua con i governi moderati di Ricardo Lagos (2000-2006) e Michelle Bachelet (2006-2010). Così, il Paese sudamericano è diventato il modello della regione, l’unico che è riuscito negli ultimi quindici anni a ridurre più della metà dell’indice di povertà. La politica economica è orientata verso l’esportazione delle materie prime minerali, agroindustriali e il settore commerciale. Le sue ricchezze minerali restano notevoli: è il primo produttore di rame al mondo ed un importante esportatore di iodio, molibdeno, nitrati, oro ed argento. In salute anche il settore agroindustriale e affiliati: vino, salmone, frutta, cellulosa ed altri prodotti derivati dalla lavorazione del legno e della carne. Più della metà delle esportazioni del Cile viaggiano verso l’Asia e l’America latina, mentre solo il 28% verso Usa e Europa. Il dinamismo produttivo ha generato progressi nell’area dei servizi, trasporti e turismo. Per il 2011 la previsione di crescita del Pil è del 6%, grazie agli elevati prezzi del rame e ai benefici degli accordi di libero scambio commerciale.
 
Colombia
Dagli anni ‘60, la Colombia vive in uno stato di permanente guerra. L’assassinio di Jorge Eliécer Gaitán nel 1948 scatenò la proliferazione di gruppi armati che all’inizio avevano un orientamento rivoluzionario, filo-marxista, e oggi sono diventati una rete di narcoterrorismo. Si tratta delle Forze armate rivoluzionarie di Colombia (Farc) e l’Esercito di liberazione nazionale (Eln). Con il passare del tempo e la crescita della violenza, è nato un gruppo di estrema destra paramilitare: Difese personali unite di Colombia (Auc). Il governo e l’esercito hanno perso il controllo della situazione e le misure di sicurezza sembrano inutili e inefficaci.
Oltre a caffè e fiori (è il secondo esportatore al mondo di questi prodotti), la Colombia è ricca di petrolio e minerali come il carbone, smeraldi e oro.
L’economia colombiana però è molto diversificata: quasi il 55% del Pil è rappresentato dai servizi di trasporto e telecomunicazioni, commercio, turismo, ristorazione, assicurazioni e immobili.
L’agricoltura e l’industria manifatturiera rappresentano il 16%, ma rischiano di essere colpiti dalla mancanza di sicurezza, con i continui attacchi da parte dei gruppi guerriglieri. Per il 2011 si prevede una riduzione della crescita del Pil del 4,2% a causa delle condizioni poco favorevoli (ancora) con partner commerciali come gli Stati Uniti. Ma la ripresa arriverà tra il 2012 e il 2015, con un indice di aumento di circa il 5% grazie agli investimenti stranieri e al rafforzamento fiscale.
 
Messico
La rivoluzione messicana del 1911 aveva messo in atto una Costituzione fortemente progressista che favoriva lo sviluppo economico e sociale del Paese. Nel 1988, il presidente Carlos Salinas de Gortari aveva portato avanti un piano di sviluppo economico basato sulla modernizzazione e la negoziazione del debito estero, che in quel momento era alle stelle.
Così, nel 1989 il Messico cancellò circa 54 miliardi di dollari di debito, il che rappresentava il 35% del buco nel sistema bancario mondiale. Quella del Messico è qualificata come una delle “economie emergenti”, che nel 2006 era indicata tra le prime 13 del mondo, con un reddito pro-capite superiore agli 8400 dollari, nel 2007. Il Messico è un importante esportatore di prodotti industriali e automobili, ma soprattutto è il quinto produttore mondiale di petrolio, anche se negli ultimi anni le strutture turistiche si sono sviluppate. All’immigrazione illegale verso gli Stati Uniti, si aggiunge un grave momento di difficoltà per il Messico a causa della guerra tra i cartelli della droga. Il narcotraffico, che prende come epicentro il territorio messicano per smistamenti in America del nord ed Europa, continua a colpire vittime civili e a respingere investimenti stranieri.
Il governo, in operazioni congiunte con l’esercito, riesce a fare ben poco, anche se ci sono una serie di riforme che cercano di attrarre imprenditori esteri. Mentre nel 2011 dovrebbero risalire soltanto gli stipendi, le previsioni di aumento si attendono per il 2012, a causa della buona salute della domanda interna.
Ci saranno un reddito reale in crescita e maggiori condizioni per il credito, che incoraggerà anche gli investimenti nelle infrastrutture e nell’industria e creerà nuovi posti di lavoro.
 
Venezuela
Durate la prima metà del XX secolo, il Paese sudamericano era sotto il controllo di governi militari che hanno promosso l’industria petrolifera. Il 95% dell’economia venezuelana era basata sull’esportazione del cacao e del caffè. Dopo la scoperta di immense riserve di greggio (uno dei giacimenti più grandi al mondo è al sud, nella Faja del Orinoco), le risorse economiche e finanziarie del Paese sono passate ad essere sostenute quasi esclusivamente dalla vendita del petrolio.
Assieme al gas, il petrolio rappresenta l’85% del flusso commerciale di esportazione. Infatti, da un’iniziativa del Venezuela nacque la fondazione dell’Organizzazione di Paesi esportatori di petrolio (Opec). Nonostante il Venezuela sia uno dei Paesi più ricchi del Sudamerica e gli ingressi petroliferi abbiano permesso una veloce modernizzazione, le differenze sociali sono abissali. Più dell’80% della popolazione vive in stato di povertà. Dopo la caduta della dittatura di Marcos Pérez Jiménez nel 1958, il Venezuela ha conosciuto un periodo di stabilità politica senza precedenti, con un sistema di democrazia bipartitica a rigorosa alternanza (tra i socialdemocratici Acción democrática e i democristiani Copei). Dal 1998, l’ex militare golpista Hugo Chávez è presidente della Repubblica, in uno scenario che ha azzerato i partiti tradizionali. Il suo programma iniziale promuoveva una battaglia contro
il neoliberalismo, la corruzione e una riforma socialista dell’economia per una distribuzione più equa delle ricchezze. Ha subito un colpo di Stato nell’aprile del 2002, che lo ha fortificato politicamente e ha indebolito l’opposizione. Nel 2009 ha fatto una riforma costituzionale (bocciata due anni prima da un referendum popolare) per la rielezione indefinita del presidente della Repubblica.
La chiusura da parte del governo di canali tv, radio e giornali, così come la concentrazione dei poteri nelle mani di un solo uomo, la azionalizzazione di imprese e l’insicurezza giuridica per gli investimenti stranieri, oltre al tasso di violenza incontrollata, aumentano le polemiche interne e il sospetto di totalitarismo agli occhi del mondo.
Le tensioni diplomatiche con gli Stati Uniti non sono poche, anche se restano il secondo partner economico del Venezuela.
 
Uruguay
È stato uno dei Paesi sudamericani più colpiti dalla crisi del 1929. L’economia dell’Uruguay è tornata alla prosperità soltanto dopo il 1950. Ma nove anni dopo, un altro crack finanziario lo ha portato all’instabilità totale.
A giugno del 1973 un colpo di Stato porta il generale Juan María Bordaberry al potere fino al 1981. Solo con questo rientro nella democrazia, l’Uruguay è tornato a fare parte del Mercosur e così ad una nuova era economica. L’agricoltura è la fonte principale dell’economia uruguayana, occupando più del 50% delle esportazioni. Purtroppo, la produzione agricola e di carne è stata duramente colpita dalle sfavorevoli condizioni climatiche. L’industria turistica si sta sviluppando in modo timido.
Nel 2010, la crescita del Pil ha superato positivamente le previsioni (circa il 7,8%) ma nel 2011 è atteso un calo del 4,4%.
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