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Come si misura la sostenibilità?

Contenuto inedito
 
I motivi per cui si continua a lavorare intensamente a nuovi indicatori nei quali la dimensione economica sia più solidamente integrata con quella sociale e con quella ambientale, tanto nelle sedi accademiche, quanto nei think tank tecnici legati a vario titolo alla elaborazione delle politiche, vanno dalla necessità di affinare le metriche per la comparazione delle diverse realtà nazionali al bisogno di strumenti attendibili per la verifica periodica e sistematica della validità degli interventi e, dell’uso delle risorse e della scelta delle strategie.
L’insoddisfazione per le misure convenzionali della salute e del progresso di una società o di un Paese è probabilmente una delle poche certezze che, nell’ultimo mezzo secolo, si può registrare unanimemente fra coloro che desiderano dotarsi di strumenti più sensibili e adeguati alla complessità dei problemi e dei fenomeni esaminati.
A valle di questa unanimità primordiale, le divergenze sono invece notevoli. Può essere utile esaminare dove esse si concentrano e in che senso esse costituiscono una difficoltà oggettiva nella realizzazione dell’obiettivo, ma anche, nello stesso tempo, il punto da cui qualsiasi esercizio di questo genere deve necessariamente partire.
 
Alla base di qualsiasi tecnica, non importa quanto sofisticata, un indice, o indicatore composito, si costruisce a partire da un quadro concettuale di riferimento che definisce con un perimetro condiviso il fenomeno oggetto di osservazione e le sue componenti essenziali. A questo quadro si fa poi corrispondere un insieme, altrettanto condiviso, di variabili dinamiche, misurabili e quantificabili, che possono essere ordinate secondo criteri di priorità. Le corrispondenze fra variabili e fenomeno misurato devono essere, oltre che condivise, anche assolutamente prive di ambiguità, pena la perdita della qualità di misure proxy per le variabili selezionate, che andrebbero, in tal caso, fatte cadere.
Beninteso, queste regole di corrispondenza possono dipendere anche da un altro fattore, che va ugualmente stabilito in sede di costruzione del quadro concettuale di riferimento, dato dalla dimensione (o scala) nella quale si delimita la presenza del fenomeno da misurare. Ciò è particolarmente vero per gli indicatori di fenomeni di tipo ambientale (ad esempio, la capacità di carico, o l’impronta ecologica), i quali dipendono in modo diretto dalle caratteristiche dimensionali o geografiche delle aree alle quali si applicano.
 
Se si esaminano alcuni dei più noti fra i numerosi indicatori compositi di sviluppo sostenibile che sono stati elaborati negli ultimi anni, si ottiene la prova che non esiste alcun chiaro orientamento, in questo campo, in merito: a quali siano le variabili principali o di base che misurano la sostenibilità; al significato da attribuire alla loro dinamica e alle sue possibili direzioni, in particolare facendo riferimento a valori obiettivo, soglia o standard; al tipo di combinazione significativa fra le variabili individuate, tale da definire profili distinti e specifici.
Il contrasto è piuttosto evidente: laddove il Pil, proprio per le sue caratteristiche di strumento di semplificazione (per taluni eccessiva) delle informazioni, è interpretato universalmente secondo le stesse regole, cosicché la sua crescita è registrata positivamente, e il suo ristagno o addirittura la sua diminuzione appaiono invece come sintomi negativi, nessuna delle misure non convenzionali offre una analoga facilità di lettura.
 
Di più: il nodo non sta solo nella interpretazione degli indici alternativi, ma nella loro costruzione di base, ovvero proprio nelle fasi della loro perimetrazione teorica e dell’attribuzione delle corrispondenze fra quella perimetrazione e le variabili quantificabili.
Se si riflette, in particolare, sulla classica definizione delle tre componenti di base della sostenibilità, che sono indicate nella “dimensione economica”, nella “dimensione ambientale” e nella “dimensione sociale”, si riconosce facilmente che: mentre la prima può essere descritta e misurata attraverso numerosi strumenti, largamente diffusi, facilmente popolabili di dati, e quasi sempre di interpretazione non ambigua; la seconda, sebbene possa ormai contare, quasi in tutto il mondo, su sistemi di indagine e di rilevazione che si sono progressivamente consolidati negli ultimi quaranta anni, resta ancora eccessivamente segmentata e asistematica nella sua definizione di base e in tali aree non ancora sufficientemente esplorata; sulla terza dimensione, nonostante la lunga, eccellente e copiosa tradizione degli studi sociali, la definizione del concetto di base appare ancora molto difficile e ancor meno facilmente riconducibile a un set chiaro di variabili proxy; in particolare, proprio per la natura dei fenomeni implicati, la definizione della ottimalità non è intuitiva, né evidente, né certamente condivisa.
C’è anche da considerare che, per la stessa natura multidimensionale e integrata della nozione di sostenibilità, non è sufficiente produrre strumenti che misurino il comportamento delle tre componenti prese nella loro singolarità, ma occorre produrre ipotesi sulla loro relazione reciproca, sul loro condizionamento mutuale, sui profili ottimali delle loro interazioni e, su questa base, anche sulle variabili che sono in grado di misurare livello, contenuti e modalità dell’integrazione.
 
Le ultime osservazioni guardano necessariamente alla concreta operabilità degli indicatori composti di sviluppo sostenibile. Lasciando da parte, per le ragioni già menzionate, la componente economica, va notato che, mentre per la componente ambientale si è andata sviluppando in Italia una tradizione di misurazione e monitoraggio sistematico e coordinato in modo omogeneo su tutta la realtà di un Paese, con disaggregazioni a scala locale, ciò non può dirsi della componente sociale.
La consapevolezza di queste aree ancora irrisolte può e deve essere posta alla base di un ulteriore programma di indagine, a carattere fortemente sperimentale, mirato anche alla valutazione della disponibilità di rilevazioni e di dati capaci di dare operatività alle misure teoriche, alle diverse scale territoriali: da quella nazionale a quella locale.
 
Primo ricercatore Istat
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