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Casini e il riformismo che serve al Paese

Negli anni recenti, a corredo della sua azione, Pier Ferdinando Casini è stato più volte tacciato di tatticismo contingente, e della mancanza di una visione strategica nel posizionamento del suo partito nel gioco delle alleanze. Ma i fatti degli ultimi tre anni sembrano dirci il contrario. Con la rottura dell’alleanza con Berlusconi del 2008 Casini ha messo a rischio l’incolumità dell’Udc, che seriamente ha rischiato di uscire triturata da quelle elezioni politiche, tutte incentrate sul dualismo Pd-Pdl. L’anno successivo l’Udc, dopo avere verificato di essere ancora viva, si consolava in uno splendido isolamento. Ma dal 2010, con la rottura tra Berlusconi e Fini, il partito è al centro dello scacchiere, appetibile, decisivo per ogni futuro orientamento. Ciò è stato sicuramente possibile grazie al non avere ridotto la propria azione a un antiberlusconismo pregiudiziale. Aver manifestato un atteggiamento di correttezza istituzionale verso il premier è servito e adesso Casini ha il compito di individuare alcuni temi che, in questa fase convulsa, possono coagulare forze attorno a sé. Come è accaduto nella storia della Repubblica con Ugo La Malfa e Amintore Fanfani, con governi che hanno ricostruito l’Italia. Puntando su un gigantesco piano di infrastrutture e su una riduzione del divario sociale tra le classi, avvicinando ciò che da sempre era distante. Battere il tasto dell’equità sociale è provvedere al rilancio del Paese. Avere meno tensioni sociali significa agevolare la spinta propulsiva dell’economia. Significa avere più opportunità per le imprese e per i lavoratori, per i figli delle famiglie svantaggiate.
 
L’armonia nazionale di cui spesso parla Casini va inquadrata in un programma di comprensione di ciò che accade nel nostro Paese. Il centrodestra ultimamente sembra aver smarrito questa chiave. Anche la manifestazione delle donne, snobbata e liquidata frettolosamente come antiberlusconiana, ne è dimostrazione. Casini ovviamente deve insistere sull’inefficienza dell’attuale sistema bipolare, che blocca e strangola l’Italia. Da tempo senza la logica dei muri contrapposti avremmo un nuovo governo, sempre di centrodestra, con il compito di decantare gli animi e aprire una nuova fase, magari guidato da Gianni Letta, da Renato Schifani o addirittura da Giulio Tremonti. Invece continua il deficit di rappresentanza della classe dirigente. Fondamentale è insistere sulla riforma elettorale, con il ritorno delle preferenze, per un Parlamento di politici votati dal popolo e non nominati dalle oligarchie dei partiti. Spiegare che i meriti delle preferenze sono maggiori dei suoi difetti è uno dei compiti a cui Casini è chiamato per riunire intorno all’Udc nuove forze. L’intuizione del Terzo Polo è stata tempestiva. Ma ora occorre declinare un programma di responsabilità nazionale intorno al tema dell’equità sociale e della stabilità che renda il Terzo Polo e l’Udc, suo perno, l’elemento aggregatore, riflettendo sull’ipotesi che, in caso di nuove elezioni, esso non competa da solo, ma in coalizione con chi voglia condividere quest’idea, riformista e pacificata, di Italia. Tutte le combinazioni del quadro politico sembrano aver bisogno di Casini. Non per trasformismo, per come naturalmente si sono disposti gli eventi.
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