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Europa, apri gli occhi

Il Mediterraneo si è presentato nell’ultimo decennio come un concentrato delle grandi sfide politiche poste dalla globalizzazione: dalla promozione della democrazia ai conflitti culturali, dalla sicurezza energetica all’integrazione economica regionale. Nello stesso periodo, la retorica delle politiche statunitensi ed europee nell’area – basti ricordare i programmi dell’amministrazione Bush sull’esportazione della democrazia (con le armi, naturalmente) in Medio Oriente tra il 2004-2006 o il varo della Politica di vicinato della Ue – è stata travolgente al punto di di¬storcere la realtà che, ovviamente, non si comprendeva, come abbiamo purtroppo appurato dall’esplosione delle rivolte spontanee in Tunisia e in Algeria, alla vera e propria rivoluzione che ha infiammato l’Egitto ed ha favorito l’accensione di alcuni focolai anche in Libano, Siria, Giordania e perfino nello Yemen.

A dimostrazione che l’effetto domino temuto è diventato un vero e proprio contagio in un’area che si riteneva sostanzialmente stabile, a prescindere dall’endemico conflitto israelo-palestinese. Ci si è chiesto nelle scorse settimane, come mai nei Paesi europei non si sia mai avuta la consapevolezza di ciò che poteva accadere dove il potere autocratico di alcune inossidabili nomenklature aveva impoverito le popo-lazioni e negato i diritti elementari. La rispo¬sta è semplice. Gli Stati Uniti e l’Europa han¬no sempre favorito, anche di fronte ad una evidenza che li avrebbe dovuti sconsigliare, la stabilità pro-occidentale dei regimi che stanno cadendo o sono caduti a scapito dell’incoraggiamento, come era da attendersi dopo i fatti iracheni, di reali processi di democratizzazione che si stavano manifestando nell’area e che soprattutto l’Unione per il Mediterraneo, francamente agonizzante, non ha saputo o voluto vedere.

Quel che non hanno fatto i politici occidentali ed i loro burocrati, l’ha fatto il web, vero motore delle prime avvisaglie di democratizzazione dei Paesi della sponda sud del Mediterraneo. L’esaurimento – un po’ perché non ci ha creduto nessuno fino in fondo, un po’ per il blocco psicologico e politico del conflitto tra israeliani e palestinesi – della politica euro-mediterranea delineata a Barcellona nel 1995, che prevedeva l’aiuto allo sviluppo politico dei regimi arabi verso la democrazia, non è stato superato dal varo dell’Unione per il Mediterraneo, che si è presto rivelata un “esperimento” fallimentare da tutti i punti di vista. I Paesi europei, a cominciare dall’Italia, hanno sempre proceduto in ordine sparso, concorrenti più che collaboranti. Di fatto la politica europea verso quest’area di fondamentale interesse strategico ha finito per privilegiare i rapporti commerciali ed economici a discapito di quelli politici. Ciò è emerso anche in seno all’Apem, organizzazione parlamentare della quale fanno parte tutti i Paesi mediterranei, il cui impulso è stato pressoché nullo nel far avanzare dialogo tra le due sponde e la democrazia interna nei Paesi che se la stanno guadagnando con vittime e disordini. Le vicende tunisine ed egiziane hanno reso manifesto quanto l’Europa non sia stata in grado di comprendere i problemi dei partner del Mediterraneo e la richiesta di cambiamento che veniva da queste popolazioni. I ministri degli Esteri europei hanno ammesso che i Paesi occidentali non hanno saputo interpretare il complesso cambiamento della società civile di Egitto e Tunisia, ma ancora una volta non hanno parlato con una voce sola sottolineando in tal modo il ruolo marginale che sta giocando l’Ue. Quanto l’Egitto sia importante per l’Europa è testimoniato dal fatto che proprio il presidente egiziano Hosni Mubarak sia il co-presidente dell’UpM. Esso è stato, fino ai recenti fatti, insieme con l’Arabia Saudita, la chiave di volta degli equilibri del Medio Oriente. È anche l’unico Paese arabo ad aver riconosciuto Israele. È stato, dunque, un baluardo contro l’islamismo radicale, fenomeno ben visibile se si considera non soltanto al-Qaeda, ma anche l’evoluzione dei governi dell’Iran, della Siria, del Sudan, del regime saudita, di potenti gruppi d’influenza come Hamas e Hezbollah, in parte dei Fratelli musulmani, e molti altri.

Erroneamente pensavamo che nei Paesi nordafricani ed in Medio Oriente ci fossero solamente singoli individui coraggiosi di orienta¬mento “liberale”, ma non esistesse un’opinione pubblica, una massa capace di sovvertire l’ordine costituito, quello dei regimi autoritari, l’amicizia dei quali sembrava obbligata. Ciò che è accaduto nelle piazze di Algeri, di Tunisi, del Cairo dovrebbe farci mutare orientamento. L’Europa dovrebbe considerare questa nuova realtà. Le proteste popolari, prive di una chiara direzione politica e di leadership, ma anche di connotati islamici radicali, non dovrebbero far trascurare il fatto che la crisi nel Maghreb ed in Medio Oriente potrebbe fornire all’Ue l’occasione per riacquistare credibilità presso il mondo arabo. Non si tratta di adottare politiche contropro¬ducenti tese a diffondere secondo modelli oc¬cidentali la democrazia con la forza, ma di essere riferimento e fornire aiuti economici, sociali e culturali a favore della società civile e delle forze disponibili all’avvio di un processo di partecipazione popolare nelle istituzioni. Insomma, la crisi dei Paesi nordafricani ci ha permesso di comprendere che la stabilità non può essere perseguita a scapito della li¬bertà, della tutela dei diritti umani e della democrazia. L’Europa sarà in grado di convin¬cersene?

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