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Il valore dei modelli virtuosi

È difficile trovare storicamente un meccanismo sociale più forte dell’appartenenza di classe. Basta considerare il peso che ebbero nell’Ancien régime le differenze economiche native e nell’antica Grecia la potenza gerarchica delle caste. Certo, Karl Marx e Friedrich Nietzsche sfruttarono abilmente l’anticlassismo per avviare alla fine dell’‘800 una battaglia dura contro le diseguaglianze, partorendo opposte aristocrazie di rango.
Non deve sorprendere, quindi, che uno dei pilastri fondamentali della dottrina sociale cattolica, dalla Rerum novarum di Leone XIII in poi, sia stata la ferma esigenza di stemperare nella solidarietà la “lotta di classe”.
E la Democrazia cristiana utilizzò fruttuosamente questa impostazione etica per dare solidità e diffusione all’imponente crescita produttiva del dopoguerra.
E ora? Ebbene, ora le cose sono cambiate, sotto tutti i punti di vista.
La vita collettiva non corrisponde più alla classica immagine che ci siamo formati, e si è passati velocemente dalle drammatiche disparità di ieri alla radicale assenza odierna di ogni giusta selezione. Non soltanto il processo di ibridazione delle culture ha sradicato l’individuo dalla comunità, indebolendo qualsivoglia specie d’identità, ma, con buona pace di Vilfredo Pareto e Gaetano Mosca, le stesse élites politiche sono sparite. Una rapida erosione ne ha prodotto la liquidazione, cancellandone la presenza anche nell’unico strato sociale che resta fatalmente indispensabile per tenere in vita una comunità: la classe dirigente. Certo, oggi non manca chi comanda e ha potere, ma conduce la danza solo riuscendo per un certo tempo, con maggiore o minore astuzia, ad imporsi sugli altri al vertice di un’azienda o di un ente pubblico, senza che vi sia alcuna regola di quotazione oggettiva al di fuori dell’età. Davanti alla crisi di consenso che vivono i partiti, è necessario ritornare invece ad una salda cultura della rappresentanza.
Ciò significa recuperare l’aspirazione positiva ad “essere idonei”, ossia dotati di qualità verificabili pubblicamente.
In definitiva, tre parole chiave definiscono una classe dirigente che si rispetti: altruismo, affidabilità, esemplarità. È leader, infatti, chi sa formare le persone; chi dà garanzia di perseveranza e saldezza nel comportamento; chi sa essere un esempio buono per gli altri. Sono parametri pretenziosi ma, tutto sommato, semplici, capitali per il bene di tutti.
La presenza di modelli virtuosi, infatti, crea nella base della piramide sociale l’effetto propulsivo più importante: la motivazione. Essa imprime poi la speranza di crescere e la fiducia di poter migliorare. L’ambizione, insomma, di essere un giorno parte personale di quel gruppo sovrastante la cui massima funzione è elargire generosamente al prossimo quanto ha meritoriamente acquisito.
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