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11/09 e la profezia di Heidegger

Quando esattamente dieci anni fa il mondo si fermò davanti alle immagini televisive delle due Torri Gemelle sbriciolate per l’esplosione degli aerei dirottati, l’impressione unanime fu l’onirica vertigine del vuoto. L’incubo, malauguratamente, era reale. Di solito il futuro entra blandamente nel presente; quella volta, invece, decise di farlo con la violenza di un olocausto.
Due lustri sono passati da allora. Un tempo sufficiente a trasformare l’angoscia del dolore in una cicatrice permanente della storia. Di fatto l’era Bush, finita nel 2008, è stata marcata indelebilmente dall’attacco terroristico a New York. Basti pensare al susseguirsi costante di guerre che ha trascinato tutti i “Paesi democratici” con gli Stati Uniti in Afghanistan, in Iraq, in Pakistan. L’espansione bellica è stata effetto di una polarizzazione inevitabile divenuta all’istante crinale ideologico del millennio.
Il conflitto di civiltà, pensato nel ‘900, ha assunto ad un tratto i contorni netti di una divisione dell’umanità in “amici dell’occidente” e in “fiancheggiatori di al Qaeda”. L’aspetto sinistro è che una parte si raccoglieva attorno all’asse oceanico Bush-Blair, mentre l’altra, guidata da Osama bin Laden, rimaneva incorporea, avvolta nell’impalpabile mistica del male. Guardare in faccia il nemico e combatterlo è duro; inseguirlo senza trovarlo è un dramma apocalittico.
 
Perciò è così arduo dare un giudizio politico sul circo internazionale dello scorso decennio. Il “dopo attacco” è cominciato con una guerra calda, ed è finito con la rivoluzione maghrebina del net-generation. Dal Marocco alla Libia, dall’Algeria alla Siria, dallo Yemen al Bahrein, nel Vicino e Medio Oriente è sbucata dal mazzo la carta dispari, ben più risolutiva e contagiosa della presidenza Obama o dell’inarrestabile progresso cinese.
Il baricentro della terra è tornato in un attimo il Mediterraneo, oscurando l’inconciliabile lotta di civiltà spuntata dalle ceneri di Manhattan. Se nessuno poteva prevedere chi avrebbe vinto la battaglia tra democrazia e terrore, ora nessuno sa come governare un avvenire sguainato dal Nordafrica.
Per questo l’Italia è un Paese chiave, a causa di un mondo arabo che cerca in lei la sua prima libertà. Ciò è vero sebbene l’Unione europea non abbia avuto finora il peso culturale di fornire risposte universali. Scendere in campo in Libia contro Gheddafi è stata, in definitiva, la sola scelta possibile di un continente in panne, ultimo atto di un faticoso inseguire gli eventi senza dominarli.
A conti fatti, la democrazia europea coglie adesso la fragilità della sua chiusura moderna al sacro. All’inizio, separare Cesare da Dio è stato vitale; poi, uccidere Dio per far posto a Nerone un infausto presagio. E Martin Heidegger ha profetizzato bene che nell’ora delle religioni globali “solo un Dio ci potrà salvare”.
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