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… con l’aiuto della Banca mondiale

La Iea (International energy agency) ha stimato che sarebbero necessari circa 36 miliardi di dollari di investimenti l’anno per assicurare un accesso universale a moderne forme di energia entro il 2030. Si tratta di una cifra decisamente superiore agli investimenti attuali nel settore: né i governi dei Paesi in via di sviluppo, né gli organismi internazionali hanno risorse sufficienti per colmare questo gap finanziario. La comunità internazionale si interroga da tempo su come ripensare gli aiuti allo sviluppo, le priorità da affrontare e il ruolo delle principali istituzioni bilaterali e multilaterali impegnate nella cooperazione.
L’approccio Oba (Output-based aid) non è che uno tra i tanti metodi che cercano di vincolare l’erogazione di fondi al raggiungimento di un risultato desiderato. La definizione più generica di Result-based financing (Rbf) include moltissime di queste modalità innovative.
 
Creato nel 2003, il Global partnership on out-put-based aid (Gpoba) è un programma globale amministrato dalla Banca mondiale con il contributo di vari Paesi e delle rispettive agenzie per la cooperazione (Gran Bretagna, Olanda, Australia e Svezia) per sviluppare, testare e documentare l’applicazione dell’approccio output-based (Oba) in vari settori che includono l’accesso alle infrastrutture, la salute e l’educazione.
Pur non essendo l’unico ente che promuove questo approccio, Gpoba ha contribuito a configurarne in modo specifico gli elementi chiave. Innanzitutto, nei programmi Oba è fondamentale identificare un output, ovvero un risultato specifico, concreto e misurabile – una connessione elettrica, un pannello solare, un sistema comunitario di depurazione dell’acqua – che un fornitore si impegna a realizzare e a fronte del quale può venire erogato un sussidio. La giustificazione di un sussidio sta nel fatto che il servizio deve raggiungere aree e beneficiari particolarmente poveri e svantaggiati, che un’azienda non avrebbe incentivi a servire in modo sostenibile. L’entità del sussidio viene studiata accuratamente: deve coprire soltanto la quota che i beneficiari non sono in grado di pagare, evitando di creare artificiose distorsioni del mercato.
Dal 2003, tramite Gpoba, sono stati avviati 30 progetti per un totale di 131 milioni di dollari volti a migliorare l’accesso a servizi di base per oltre 6 milioni di beneficiari. Tra questi, 9 progetti sono nell’ambito del settore energetico, che rappresenta il 47% dell’ammontare complessivo.
 
L’applicazione del modello Oba nell’energia è iniziata relativamente tardi rispetto ad altri settori come Ict e trasporti, ma ha nel tempo recuperato terreno soprattutto per quanto riguarda la distribuzione nelle aree rurali. Qui, l’Output-based aid si è rivelato un metodo adeguato nell’estendere l’accesso all’energia tramite sistemi off-grid o installazioni che sfruttano energie rinnovabili in aree dove la distribuzione elettrica è penalizzata da alti costi.
Anche se è presto per una valutazione complessiva di questo approccio, gli esempi positivi sono molti. Nel 2002 è stato avviato un progetto per la fornitura di pannelli solari e mini-generatori in villaggi rurali, tipicamente non raggiunti dalla rete elettrica, nel Bangladesh. Il progetto, che ha da poco superato il milione di beneficiari, è partito con il sostegno dalla Banca mondiale e, in seguito, è cresciuto con il contributo di vari altri donatori, tra cui Gpoba. L’azienda a partecipazione pubblica Infrastructure development company (Idcol) amministra il Fondo utilizzato per contribuire a pagare il costo di sistemi a energia solare forniti da aziende e ong locali accreditate. La differenza tra il sussidio Oba e il costo del servizio viene coperta dagli utenti finali, in parte tramite micro-credito. Vista l’espansione rapidissima, addirittura in anticipo sui tempi programmati, si è fissato un nuovo obiettivo per il progetto: 2,5 milioni di beneficiari entro il 2014. Un altro esempio molto positivo viene dall’Uganda dove, visti i risultati conseguiti dai precedenti progetti attraverso il meccanismo Oba, oggi Gpoba sta lavorando con il ministero dell’Energia, la Banca mondiale e l’agenzia di cooperazione tedesca KfW per incorporare il meccanismo Oba nel Fondo di elettrificazione rurale. Lo scopo dei progetti Oba è quindi anche dimostrativo, favorendo l’introduzione di meccanismi basati sul risultato su vasta scala col supporto dei governi e delle organizzazioni locali.
 
Un ambito di intervento certamente diverso, ma ugualmente essenziale, riguarda invece l’accesso all’energia elettrica nelle baraccopoli di tantissime megalopoli urbane. Qui si presentano sfide completamente diverse dalle aree rurali. Infatti, mentre la rete elettrica è quasi sempre presente e facilmente accessibile, molti risiedono in queste aree illegalmente, il che ha spesso pesanti complicazioni politiche nella gestione delle infrastrutture in queste comunità urbane. Gpoba ha in corso due progetti, uno a Mumbai e uno a Nairobi, che hanno lo scopo di sostenere famiglie residenti in questi insediamenti informali in un percorso di regolarizzazione della loro presenza sul territorio e di connessione alla rete elettrica (spesso “condivisa” o ottenuta tramite un allacciamento illegale). La scommessa del meccanismo Oba in questi casi poggia in gran parte sulla stima corretta della Willingness to pay (Wtp) da parte dei beneficiari potenziali: se il costo della connessione (e poi del consumo) è percepito come proibitivo, resta l’opzione di riconvertirsi a un accesso illegale con perdite ingenti per le utility e un ciclo vizioso di distorsione dei prezzi e ulteriore disincentivo a servire queste aree urbane svantaggiate.
 
L’approccio Oba non è una panacea. L’esperienza sta comunque mostrando che, in molti casi, questo approccio rappresenta un incentivo efficace, capace di mobilitare risorse locali (pubbliche, private e no profit) per assicurare l’accesso ai servizi di base da parte di tante famiglie altrimenti escluse da essi.
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