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Rilancio europeo a colpi di sigle

Tre nuove sigle sono entrare nella galassia delle abbreviazioni. Prima piano, piano. Poi in modo più visibile e più rumoroso. Si tratta dei documenti-chiave del nuovo “semestre europeo”, in effetti la prima parte dell’anno in cui tutti i Paesi dell’“eurozona” (ma in pratica anche i Paesi non dell’“eurozona” ma parte del club dell’Unione europea) assumono le loro decisioni chiave di politica economica e, con esse, i vari strumenti normativi, per raggiungere gli obiettivi di “Europa 2020” e del patto “euro-plus”. Quindi, non solo il pareggio di bilancio entro il 2014 e la riduzione di un ventesimo l’anno dello stock di debito pubblico superiore al 60% del Pil; “Europa 2020” infatti, ha obiettivi di crescita. Il Programma nazionale di riforma (Pnr) deve dare ad essi corpo. Il Programma di stabilità e convergenza (Psc), invece, riguarda la finanza pubblica e gli aggregati monetari; per molti Paesi dell’“eurozona” (l’Italia è nelle prime file) è un programma di restrizioni di finanza pubblica – il nostro (43 miliardi di euro) si presenta tanto pesante quanto quello che, negli anni Novanta, ci ha portato all’ingresso nell’euro.
 
Insieme, rappresentano i due aspetti della Decisione di politica economica (Dpe) che si estrinseca con una o più norme, come la legge finanziaria d’antan con i suoi collegati. Il disegno è coerente: in un’unione economica e ancor più in un’unione monetaria, le decisioni chiave di tutti i partner sono interdipendenti e per questo motivo devono essere prese simultaneamente e in modo coordinato. Il coordinamento avviene non solamente tramite il Consiglio dei ministri economici e finanziari dell’Ue (e dell’“eurozona”) ma anche in quanto, all’inizio del processo, la Commissione europea fornisce a tutte le parti in causa un proprio quadro di previsioni e, in corso d’opera, osservazioni e proposte in materia di Pnr, Psc e via discorrendo. In Italia una funzione importante di stimolo è stata svolta dal Cnel, che ha tra l’altro fornito a governo e Parlamento un’analisi comparata dei programmi dei principali Paesi dell’Ue.
 
Guardando a ritroso, occorre chiedersi se in Italia è andato tutto bene in questa prima tornata del “semestre europeo”. Dato che si trattava di una prima volta, ci si dovrebbe appellare alla clemenza della Corte. È mancato, infatti, il nesso essenziale: la simultaneità tra Pnr e Psc. In effetti, in una prima fase, c’è anche stata una certa confusione su chi avesse la titolarità della preparazione del Pnr; se, in mancanza del ministro delle Politiche comunitarie (o simile), l’organo collegiale (Ciace; Comitato interministeriale per gli affari comunitari ed europei) o il ministro dell’Economia e delle finanze a cui il presidente del Consiglio aveva conferito una delega. In effetti, il Pnr presentato nei termini (metà aprile) appare di qualità notevolmente inferiore rispetto a quelli presentati da Francia, Germania e Gran Bretagna, in quanto piuttosto vago anche nei punti centrali della politica dello sviluppo. Quasi a ridosso del Pnr è stato presentato un “decreto per lo Sviluppo”, che riguarda una serie di obiettivi meritevoli (“piano casa”, incentivi per le assunzioni al sud) ma poco attinenti al Pnr. Dopo l’approvazione del “decreto per lo Sviluppo” è iniziato il vero e proprio tormentone sulla manovra annuale e pluriennale di finanza pubblica (ossia il Psc) che si estenderà su quattro esercizi finanziari.
 
Non è questa la sede per esaminare il merito dei singoli provvedimenti.
È molto più importante il metodo: la vera innovazione, la più importante forse da dieci anni in Europa, è la stretta connessione e simultaneità tra crescita economica e aggiustamento finanziario, quindi tra Pnr e Psc, al fine di dare vita a una politica economica di qualità (Dpe).
Il prossimo anno è bene dare segni concreti di miglioramento.
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