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Immobili, dalla svendita alla razionalizzazione

In queste ultime settimane i giornali hanno riferito a più riprese di programmi di dismissione dei patrimoni immobiliari pubblici, da inserire nella prossima, non lontana, manovra.
Già nella manovra di luglio un programma di dismissione è stato previsto. La scelta si è orientata sulla dismissione dei patrimoni immobiliari degli Enti locali che dovrebbero affidare, a partire dal 2012, a fondi gestiti da Sgr private, la valorizzazione e privatizzazione del loro patrimonio immobiliare. Il sostegno dello Stato in questo processo è affidato ad un “Fondo dei fondi”, alimentato dalle disponibilità finanziarie degli Enti previdenziali pubblici.
 
Si è scelto di avviare un percorso virtuoso per gli Enti locali che detengono il patrimonio immobiliare pubblico più consistente e anche più sconosciuto, stimato in circa 300 miliardi di euro, pochi anni fa. A breve, tra l’altro, con l’attuazione del federalismo demaniale, Regioni, Province e Comuni dovrebbero ricevere anche buona parte del patrimonio e del demanio dello Stato. Non moltissimo, in termine di valore complessivo, ma sicuramente un ulteriore costo se inutilizzato. Ipotizzare dunque una ulteriore manovra che possa riguardare anche una dismissione massiccia degli immobili statali appare poco praticabile.
Dal 2008 ad oggi i valori immobiliari sono scesi (non sono precipitati), le banche finanziano, quando finanziano, non più del 40/50% delle operazioni, il numero delle transazioni è drammaticamente diminuito, gli investitori stranieri si sono riposizionati su altri mercati e i grandi gruppi immobiliari italiani subiscono preoccupanti perdite di capitalizzazione in Borsa.
 
Pensare dunque di procedere ad una vendita in blocco di una quota consistente del patrimonio statale è, oggi, impensabile. Una ulteriore manovra deprimerebbe il mercato privato e renderebbe inefficace il percorso avviato a luglio.
Non si può deprimere il mercato privato che è in crisi e che spera di recuperare, faticosamente, terreno grazie ai recenti strumenti normativi che hanno fatto un po’ di chiarezza (e pulizia) nel settore. Un finanziamento massivo da parte del settore bancario non è sicuramente ipotizzabile. Trovare investitori stranieri per il mercato immobiliare pubblico non è una priorità, visto che li stiamo attirando su altri mercati.
 
C’è poi da considerare che il patrimonio immobiliare dello Stato si è progressivamente assottigliato, in parte con le massicce dismissioni fatte fra il 2001 e il 2005, in misura consistente con la devoluzione in favore degli Enti locali, prevista dal federalismo demaniale.
I gioielli di famiglia non ci sono più. Allo Stato è rimasto il patrimonio strumentale: quello che, non più di sei mesi fa, i vari ministeri hanno dichiarato essere indispensabile per lo svolgimento delle funzioni statali.
È proprio da questo che si può partire per avviare un programma serio che possa avere un effetto duraturo sul debito pubblico e che non serva solo ad una operazione “a breve” sul deficit.
 
La cassa si deve cercare partendo dalla gestione corrente. E per gli immobili il primo passaggio è l’avvio di un piano di razionalizzazione “sartoriale” della gestione del patrimonio impostato su due filoni di intervento intimamente collegati: una seria politica di space management; una altrettanto seria politica di razionalizzazione degli utilizzi e decentramento amministrativo.
Il patrimonio strumentale su cui oggi intervenire è costituito dalla somma degli “usi governativi”, ossia degli immobili in uso alle amministrazioni dello Stato (circa 58,4 miliardi di euro di valore per quasi 14 mila immobili) e delle locazioni passive, ossia gli immobili che lo Stato occupa in affitto (circa 12,4 miliardi di valore per circa 7.200 immobili) che ammontano ad un valore complessivo di quasi 71 miliardi.
 
In questi 21mila immobili, sparsi in tutti i Comuni d’Italia e soprattutto i capoluoghi, lavorano circa 750mila dipendenti pubblici, compresi le forze militari e di polizia (escludendo sanità, istruzione ed Enti locali). Per mantenere questo patrimonio, e in particolare per sostenere i costi di manutenzione e i costi di gestione, lo Stato spende tra 1,5 e 2 miliardi di euro l’anno per le manutenzioni e tra 1,6 a 2,1 miliardi per il cosiddetto facility management. Inoltre, per stare in affitto, lo Stato spende poco meno 1 miliardo l’anno.
In buona sostanza gli oneri generati dalla gestione del patrimonio immobiliare utilizzato si aggirano intorno ai 4 miliardi di euro l’anno.
Una cifra esorbitante anche in considerazione che, teoricamente, lo Stato destina ai propri dipendenti, compresa la Polizia e i militari, uno spazio di lavoro di quasi 50 mq a persona, ossia il doppio di quanto la legge prevede per ogni abitante residenziale.
 
Occorre partire da una stringente politica di space management. Nel mondo privato e all’estero (specialmente Uk) oggi ci si sta orientando verso i 10-12 mq per dipendente. Ma anche il solo raggiungimento degli attuali standard nazionali degli uffici privati, di circa 20 mq/dipendente, rappresenterebbe un successo.
Questo è l’innesco di un processo virtuoso perché da un lato genera immediati risparmi sulla gestione corrente – che se si attestassero anche solamente nell’ordine del 25% libererebbero risorse dell’ordine di un miliardo di euro l’anno – ma, soprattutto, renderebbe disponibili immobili “liberi” con cui sostituire gli immobili in affitto e avviare una progressiva politica di dismissione e iniziare una strutturale riduzione del debito. Traguardando un orizzonte temporale di un lustro, se si riuscisse a vendere anche solo il 15% del patrimonio strumentale, si genererebbero risorse per oltre 10 miliardi, cui sommarne 5 di risparmi, il tutto senza oneri a carico dello Stato.
 
Con le risorse liberate e con una sana politica di permuta e di collaborazione pubblico-privato potrebbe anche essere avviata una politica di delocalizzazione ed efficientamento degli immobili pubblici.
È alla fine di questo processo, che dura almeno dieci anni e con il quale si potrebbe ridurre del 50% i costi gestionali e produrre cassa per 30/35 miliardi di euro, che si può immaginare di attivare un veicolo finanziario, un fondo immobiliare pubblico per esempio, nel quale conferire il nuovo patrimonio strumentale. È condizione essenziale in questo percorso e in questi anni comunque mantenere una attenzione quasi maniacale sul risparmio, sulla efficienza e sulla buona gestione, con serie azioni strutturali.
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