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Uguaglianza ed equità

Non è mai opportuno applicare le idee troppo rigidamente alla storia.
Una visione politica equilibrata non può rinunciare neppure a riconoscere che l’uguaglianza naturale tra le persone è una necessità incalzante, almeno per garantire un minimo di equità tra i molti interessi in gioco. Certo, nel contesto “relativista” in cui siamo calati parlare di giustizia sembra una provocazione dai contorni impossibili. In ogni caso resta sicuro che o si accetta il valore universale della verità intorno alla persona, e allora diviene possibile considerare l’equità una spinta che muove la politica al bene comune; oppure si deve rimanere disarmati davanti alle ingiustizie che si perpetrano ogni giorno, in ogni parte del mondo, senza confini.
 
Come Benedetto xvi ha spiegato parlando al Bundestag tedesco, l’opzione ultima dell’umanità è sempre quella tra chi ritiene che ogni vita realizzi una verità, e chi pensa invece che a dirimere le questioni fondamentali sia soltanto la forza. In quest’ultimo caso il concetto di democrazia assume un significato volontarista, assoluto, di tipo autoritario e demagogico.
È semplice, d’altronde, orientarsi in problemi di così vasta portata: basta guardare agli effetti. Ovunque si constata che l’assenza di pensiero ha prodotto un mondo in cui dominano ingiustizie, e in cui è irragionevole sperare ancora in una soluzione prodotta da unici accordi contrattuali. Quantunque la libertà abbia di per sé tutta la capacità di legittimare il diritto, il vigore degli interessi fa trionfare il pessimismo. L’equità, per questo, non può scaturire dalla sola tenacia, ma unicamente dall’idea universale di uguaglianza.
È paradossale, ma l’espressione filosofica più rivoluzionaria del nostro tempo è rintracciabile nel documento ottocentesco apparentemente più reazionario, vale a dire il Sillabo di Pio ix. La proposizione numero lx respinge, di fatto, il presupposto estremo che “l’autorità sia la somma del numero e delle forze materiali”. E gli eventi recenti stanno confermando con regolarità il frutto devastante che deriva dal credere nell’utopia opposta.
 
Dappertutto si reclama equità, sia economica sia morale, ma ovunque si è costretti a vedere vincere la violenza quantitativa e la potenza ultima dell’egoismo. Il solo modo per favorire condizioni eque, giuste, di coesistenza e di legalità è allacciare il senso ultimo del dovere sociale al principio primo di un’eguaglianza originaria e naturale tra gli esseri umani, affermando quella verità oggettiva e superiore che costituisce il caposaldo etico del bene comune e della democrazia. Del resto, senza uguaglianza tra gli esseri umani regna soltanto l’iniqua onnipotenza del potere. E la giustizia resta in balia di venti che soffiano più forte laddove più si azzarda spregiudicatezza.
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