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Prove di integrazione all’ombra dell’Esquilino

Ci sono spazi urbani in cui è possibile intravedere il futuro che verrà. L’Esquilino è un quartiere-laboratorio, dove i flussi migratori globali rallentano, fanno famiglia, prendono casa, crescono i figli. È all’interno del perimetro scolastico che oggi si rielaborano nuove identità, appartenenze, relazioni e solidarietà. Ed è lì che bisognerebbe lavorare. Sebbene affaticata dalla ricerca di equilibrismi impossibili tra imperativi pedagogico-formativi e tagli di risorse, la scuola si ritrova ad essere non di rado l’unico avamposto istituzionale in grado di accompagnare le grandi trasformazioni globali che si incarnano nelle nostre città.
È indubbio che l’istituzione scolastica possa contribuire in modo significativo ad educare a forme di convivenza più mature. Ma come, concretamente?
 
Nel 2003, l’allora dirigente scolastico della scuola Di Donato, prof. Bruno Cracco, invita alcuni genitori a cogliere l’arrivo di famiglie straniere nel quartiere come un’opportunità di crescita e mette a loro disposizione alcuni spazi non utilizzati dell’istituto.
Mentre la scuola si riappropria della sua funzione pubblica scegliendo di aprirsi e farsi luogo di dialogo e partecipazione, prende avvio un percorso che porterà alla nascita dell’associazione Genitori Scuola Di Donato. In questi anni, essa ha contribuito ad arricchire la vita dell’Esquilino attraverso la riscoperta di una socialità informale e una solidarietà quotidiana e tangibile. Grazie alle tante iniziative interculturali, sportive, artistiche, al sostegno scolastico e all’insegnamento della lingua italiana, è stato possibile soprattutto generare fiducia. A ciò ha corrisposto una crescita insieme personale e collettiva delle persone coinvolte che raccontano di una maturazione anzitutto umana, ma anche di una più elevata qualità della vita del quartiere e di un abbassamento della percezione di insicurezza, a fronte di tante retoriche sulla sicurezza urbana che costituiscono un costo sociale oggi irragionevole.
 
I ribaltamenti di prospettiva proposti − la scuola da istituzione rigida a luogo accogliente, le famiglie straniere da problema a risorsa, la solidarietà da compito istituzionale a responsabilità diffusa − invitano a immaginare nuovi equilibri capaci di conciliare radici particolari (la propria storia personale e locale) e universali, la condivisione di una medesima esperienza di genitorialità, la cura delle nuove generazioni, indipendentemente dalla loro origine.
A questo riguardo, la capacità dell’Associazione di generare nuovi scenari del possibile è impressionante. Non è un caso che i suoi soci la definiscano realtà “di proposta” e non “di protesta”.
In un Paese dove la supremazia della sola pars destruens, oltre ad aver prodotto un velenoso cinismo, ha anche costituito un facile alibi per molti, diventano esemplari i luoghi in cui matura, insieme alla fiducia nell’umano e nelle giovani generazioni, il desiderio e il coraggio della pars construens.
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