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Una ricetta virtuosa del fare impresa

La crisi globale costituisce una congiuntura storica per molti versi inedita che chiede alle imprese rinnovate abilità interpretative e immaginative per riposizionarsi sensatamente dentro questo tempo, coniugando efficienza e sostenibilità, il know how accumulato localmente nel passato e innovazione spendibile su filiere transnazionali. L’incapacità di attrezzarsi in tal senso può significare restare indietro, impantanati tra modelli obsoleti e logiche improduttive. Tuttavia anche un altro rischio è altrettanto concreto: la possibilità di snaturarsi, gettandosi sconsideratamente alla ricerca di format manageriali di importazione che risultano però incompatibili con quel background unico di tradizione, cultura, valori e sensibilità che costituiscono l’essenza più vera di un made in Italy tanto apprezzato nel mondo.
 
Di estremo interesse risultano pertanto quelle realtà imprenditoriali che non solo navigano indenni tra le Scilla e Cariddi di queste derive, ma sono in grado di assumere una valenza di esemplarità rispetto a come articolare nuove catene del valore che a partire da un forte radicamento al locale consentano di affrontare l’arena globale.
La Umbra Cuscinetti, capofila di Umbra Group, costituisce a questo proposito un’esperienza di indubbio interesse. L’impresa di Foligno si caratterizza per una sorta di doppia nascita: la prima, nel 1972, come Umbra Cuscinetti Spa, sulle radici di un’azienda locale allora in crisi, salvata dall’intervento della tedesca Fag e dall’italiana Gepi. La seconda, nel 1993, quando l’ingegner Valter Baldaccini, tuttora amministratore delegato del gruppo, decide attraverso un’azione di management buyout di acquistare per intero le quote della Fag. Il passaggio “da spettatore ad attore” – lontano da una logica di mera strumentalità personale – è piuttosto l’assunzione di una precisa postura imprenditoriale, quella della responsabilità, ricorrente nelle storie rintracciate dall’Archivio della generatività italiana. La scelta di campo è motivata infatti da un profondo desiderio di tutela degli interessi di quelli che, nel tempo, da valenti collaboratori sono diventati soprattutto amici, dei loro nuclei familiari, del territorio di appartenenza.
 
La storia della Umbra potrebbe essere letta in filigrana proprio come raffinata e competente capacità di stringere patti per uno sviluppo condiviso: dell’impresa, certamente, ma anche, più ampiamente, di tutti gli stakeholder. Fatturato in crescita di cui circa il 90% in export, leader mondiale nella produzione di cuscinetti a sfera ad alta precisione, 700 dipendenti a cui si aggiunge l’attivazione di un prezioso indotto locale, la strategia della Umbra sembra essere guidata − più che da parametri economico finanziari − da una convinzione profonda: l’azienda ha un’anima e questa la fanno solo le persone.
Non è un caso che, nella ricerca di nuove alleanze, l’azione di ingegner Baldaccini si sia orientata anzitutto verso un miglioramento incessante della qualità relazionale e ambientale dell’impresa, oltre che, più in generale, della vita personale e familiare dei propri dipendenti. Gli utili aziendali vengono direzionati verso investimenti dall’impatto collettivo e non soltanto personale dell’imprenditore. Una strategia, questa, risultata negli anni premiante, come testimonia l’azzeramento delle ore di sciopero e dei costi legati ad una ancora troppo diffusa conflittualità nelle relazioni industriali, onere che oggi l’impresa competitiva non può più permettersi.
 
La politica delle alleanze non nasce però dal nulla. Essa si inserisce in un alveo valoriale che pone al centro la persona e la comunità e che si innesta, nelle parole dell’ingegner Baldaccini, nella tradizione cattolica. Ciò porta ad un agire imprenditoriale ispirato da un’etica “della restituzione”, dove l’impresa diventa strumento per la messa in circolazione del “valore” che a propria volta si è ricevuto. “Bene comune” che sostiene la ricerca di convergenze, essa diventa il luogo delle alleanze possibili: tra management e maestranze, impresa e territorio, locale e globale. Si comprende così l’esperienza di azionariato diffuso avviata presso i collaboratori della Umbra Group. L’impresa non “appartiene” solo all’imprenditore ed è questa corresponsabilità, ognuno per la propria parte, a costituire il motore del vantaggio competitivo raggiunto dal gruppo in questi anni. La fiducia si fa capitale circolante: l’acquisto di quote dell’impresa da parte dei collaboratori è un segno di fiducia che non può non motivare il management a farsi garante del benessere collettivo. L’impresa, quindi, non come entità chiusa e autoreferenziale che solo si appoggia strumentalmente al contesto ospitante.
 
Piuttosto, è la consapevolezza orgogliosa di essere parte di una storia più grande, che porta a conciliare in modo innovativo particolare e universale. Forse mai come oggi la ricerca di alleanze non può sottrarsi dalla strutturazione di reti del valore articolate globalmente. La Umbra Group, a questo riguardo, ha compiuto in questi anni significativi investimenti in mercati concorrenti quali gli Usa e la Germania, dove ha acquisito alcune imprese, ha creato nuovi posti di lavoro, ed ha esportato il savoir faire e i valori della casa madre, al fine di confermarsi all’altezza delle aspettative di supplier e competitor. La Umbra è diventata così fornitrice strategica di gruppi importanti, quali la Boing, l’Airbus Airways, la Lufthansa, la Kml, la Lockheed Martin.
In un periodo di deficit di credibilità per il nostro Paese, l’azienda di Foligno ha contribuito indubbiamente ad esportarne un’immagine altamente affidabile, competente, dinamica, capace di conquistarsi il proprio posto nel globale mettendo a valore, anzitutto, la propria italianità.
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