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Ue, ovvero la costanza dei primi della classe

I primi della classe sperano sempre di ottenere un buon risultato quando lavorano con costanza e tenacia e hanno fatto i compiti quando lo richiede il professore (il mondo scientifico e i cittadini).
Nel contesto della tutela del clima, l’Unione europea già da tempo è uno studente che non solo si impegna individualmente per compiere la sua parte, ma prova a far salire il voto medio dell’intera classe, per farsi apprezzare ancora di più dal professore, tramite quello che viene definito capacity-building, ossia offrire assistenza agli studenti che hanno più difficoltà nello studio, alcuni perché non hanno sufficienti capacità tecniche (Paesi in via di sviluppo) e altri perché amano coltivare altri interessi (gli Stati Uniti, Canada e Russia).
Fino ad oggi l’impegno del bravo studente, l’Unione europea, è stato insufficiente. La classe troppo numerosa e diversificata ha creato un gap considerevole in termini di conoscenza e risultati. La tutela dell’ambiente non è una questione marginale, al contrario, è trasversale e determinante nelle scelte che ogni Paese deve compiere per il proprio sviluppo economico e stato di benessere.
Nonostante nelle precedenti conferenze delle parti della Unfccc (Convenzione quadro delle Nazioni Unite per il cambiamento climatico) l’Unione europea abbia preso voti bassi (Copenhagen, Cancún), non ha smesso di impegnarsi svolgendo un ruolo di esempio e forza trainante per il resto della classe.
Infatti, la Conferenza delle parti (Cop17) a Durban ha dimostrato un’inversione di tendenza. L’Unione europea si è resa conto che la sua strategia di guida doveva basarsi sul pragmatismo, sulla coalition-building e su una stima realistica dei suoi compagni di classe.
Sulla carta, la Conferenza di Durban si è tradotta in una piattaforma che avvierà un tavolo di trattative che porteranno alla firma di un trattato globale, legalmente vincolante, di riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra entro il 2015, che diventerà operativo entro il 2020. La forma non è stata definita, potrebbe essere un protocollo, un altro strumento legale o un altro strumento attuativo, ma con valore legale per tutti i 194 Paesi dell’Unfccc, e non solo per i Paesi industrializzati.
Ormai è noto che il Protocollo di Kyoto non sia lo strumento adeguato per affrontare i cambiamenti climatici, ma si è deciso di mantenerlo vivo essendo al momento l’unica struttura internazionale da utilizzare “come ponte per arrivare ad un accordo nel 2015” secondo il ministro dell’Ambiente Corrado Clini.
Ma dietro la piattaforma di Durban, c’è anche una svolta geopolitica significativa, l’avvicinamento dell’Unione europea ai Paesi emergenti, che insieme rappresentano i maggiori produttori di ricchezza. Infatti, per la prima volta nella storia del negoziato del clima, Cina, India, Brasile, Messico e Sudafrica hanno intrapreso un partenariato con l’Europa in un’alleanza per lo sviluppo e la diffusione commerciale delle tecnologie che contribuiscono al passaggio verso un’economia a basse emissioni di carbonio. Questo dialogo sarà incentrato sulle politiche nazionali che queste economie hanno già avviato.
L’Unione europea si trova a metà strada nel raggiungimento dell’obiettivo che si era prefissata per il 2020 attraverso il Pacchetto clima ed energia conosciuto come il 20-20-20. Esso fissa entro il 2020 la riduzione delle emissioni di gas serra di almeno il 20% rispetto al 1990 e l’innalzamento al 20% della percentuale di energia rinnovabile rispetto al consumo energetico complessivo. Il pacchetto contribuisce inoltre ad un altro obiettivo, cioè al miglioramento dell’efficienza energetica (+20%), anche se le stime rivelano che l’Ue rischia di non raggiungerlo. Per questo, la Commissione europea ha presentato un nuovo Piano di efficienza energetica [Com(2011) 109] contenente misure per ottenere ulteriori risparmi in materia di fornitura e uso dell’energia, la cui discussione si trova nel vivo.
Da bravo studente ha anche pensato a un quadro di riferimento di lungo respiro, presentando il piano successivo per il 2050, la cosiddetta Roadmap 2050. Si tratta di una tabella di marcia sulla decarbonizzazione che riguarda l’intera economia, nella quale sono stati analizzati tutti i settori: generazione di energia, trasporto, utenti residenziali, industria e agricoltura. Essa illustra le sfide politiche, la necessità di investimento e le opportunità di vari settori, perché gli investimenti di oggi determineranno la competitività futura. Alcuni Paesi emergenti stanno scommettendo in modo significativo in innovazione e ricerca, nonostante un contesto di crisi globale. Secondo gli indicatori della Banca mondiale, la Cina e la Corea (investendo rispettivamente il 48 e 26% del Pil) hanno il potenziale per una transizione rapida verso un’economia competitiva a bassa intensità di carbonio. Invece lo studente statunitense continua ad applicarsi poco. A Durban sebbene fosse al tavolo del negoziato, non ha voluto svolgere un ruolo guida perché preoccupato del rischio rappresentato dalle prossime elezioni.
Il risultato che ogni studente come il professore dovrebbe voler raggiungere è salvare il clima. Forse dopo Durban il clima non è ancora salvo, ma almeno è salvo il negoziato. Non resta dunque che preparare la prossima tappa, Rio+20, in Brasile, che dovrà essere un primo passo verso un accordo globale.
Ha collaborato Roberta Cancedda
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