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Strategie win win tra Roma e New Delhi

Per capire l’economia indiana occorre partire dalle cifre: l’India ha chiuso l’anno fiscale 2010-2011 con una crescita del Pil dell’8,5%, in un contesto di generale aumento dei redditi e dei consumi della popolazione. Cominciano tuttavia a manifestarsi i primi segnali di rallentamento della crescita, che si riflettono soprattutto nell’indice di produzione industriale, attestatosi a metà 2011 sul 5%, dall’8% dell’anno precedente. L’origine di tale flessione va individuata in un duplice ordine di fattori: da un lato, nel 2011 le autorià indiane hanno adottato un mix di politiche monetarie e fiscali marcatamente restrittivo, in risposta al perdurare di un’inflazione elevata (attualmente ancora al 9% circa) e alla situazione di squilibrio dei conti pubblici (tuttora intorno al 5% del Pil, nonostante il trend di contenimento); parallelamente, le difficoltà della ripresa dell’economia americana e la crisi del debito sovrano nell’eurozona hanno innescato un deprezzamento della rupia e una sensibile contrazione del valore delle esportazioni indiane rispetto alle importazioni e degli afflussi di investimenti dall’estero (contrattisi del 26% nel 2010 ma in ripresa nella prima metà del 2011). D’altro canto, se un rallentamento dell’economia indiana diventa sempre più evidente, la crescita del Pil sembra destinata, anche per il 2011 e 2012, a rimanere seconda solo a quella cinese, con un tasso comunque superiore al 7%.
 
L’auspicio è che l’attuale governo Singh possa trovare la coesione sufficiente per avanzare nel programma di riforme economiche, che dovrebbero dare slancio alla produttività e reimpostare la crescita del Paese secondo criteri di maggiore “inclusività”. Le misure annunciate vanno dalla semplificazione fiscale e abolizione delle barriere interstatali all’apertura agli investitori stranieri di settori chiave quali il retail e l’aviazione civile, dalla riforma della legislazione in materia di acquisizione dei terreni alla liberalizzazione del sistema pensionistico e assicurativo, alla deregolamentazione dei prezzi energetici. In questa prospettiva, il recente congelamento della decisione di “aprire” il mercato indiano agli Ide nel settore del retail multimarca non dovrebbe tuttavia verosimilmente causare l’interruzione dell’ambizioso programma di riforme economiche. Questa stagione di riforme di “seconda generazione” potrà generare ulteriori significative opportunità di collaborazione tra le imprese dei nostri due Paesi, ancor più nella prospettiva di una probabile conclusione, auspicabilmente nei primi mesi del 2012, del negoziato per un accordo di libero scambio tra Ue e India.
 
I dati commerciali bilaterali si confermano assolutamente positivi: il primo semestre 2011 ha registrato un incremento dell’interscambio del 34% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, con le importazioni dall’India in aumento ad un tasso crescente (31%) rispetto alle esportazioni italiane (28%). La performance italiana rimane tuttavia ancora al di sotto delle potenzialità, anche per quanto riguarda gli investimenti italiani in India.
Le opportunità sono oggi evidenti tanto nei settori di più tradizionale presenza dei prodotti italiani in questi mercati (dai macchinari, alla moda e design, ai mobili, al settore automobilistico), quanto in ambiti ancora relativamente inesplorati, come quello delle tecnologie pulite e delle energie rinnovabili, in particolare il solare, considerati gli ambiziosi obiettivi che si è dato il governo indiano (40 GW da energie rinnovabili entro il 2020). Tra i settori più promettenti per gli investimenti italiani – anche alla luce del know-how e delle tecnologie di cui le nostre imprese sono portatrici – vorrei citare quello delle infrastrutture (750 miliardi di euro di investimenti stimati nel prossimo quinquennio) e dell’agro-food.
 
Il 2011 – definito dal presidente della Confindustria Marcegaglia “anno dell’India” – ha segnato una rinnovata attenzione degli attori istituzionali ed imprenditoriali italiani verso il subcontinente, come testimoniato dalla forte ripresa degli incontri bilaterali: le missioni in Italia del ministro del Commercio e dell’Industria Sharma, del ministero degli Esteri Krishna e del ministero dell’Energia elettrica Shinde; le missioni imprenditoriali di Confindustria in India nei settori delle infrastrutture/energia e dell’automotive; da ultimo l’articolata missione di sistema italiana in India, che ha fatto tappa a Delhi e Chennai dal 31 ottobre al 4 dicembre, focalizzandosi in settori chiavi quali quelli dei macchinari (40% dell’export italiano in India), della componentistica autoveicolare, dell’energia, dello sviluppo urbanistico sostenibile, dell’industria della difesa.
 
L’obiettivo di questa azione sempre più incisiva del sistema-Italia in India è quello di riuscire a sfruttare quell’enorme potenziale di crescita nelle relazioni economiche bilaterali rimasto ancora inespresso. Per fare ciò è necessario passare da un’ottica meramente commerciale a un’ottica di integrazione dei rispettivi tessuti economici. Qual è la strategia vincente? A mio avviso essa dovrà essere quantomento duplice. Da una parte, stimolare il più possibile il dialogo tra le grandi industrie italiane e indiane; dall’altro, creare un’adeguata cornice istituzionale che faciliti i contatti tra le piccole e medie imprese dei due Paesi, finalizzati alla costituzione di alleanze imprenditoriali che da un lato siano veicolo di formazione e trasferimento di know-how verso le società indiane, dall’altro consentano alle nostre imprese di posizionarsi strategicamente nel promettente mercato indiano e di partecipare ai diversi livelli della filiera produttiva locale. Know how in cambio di accesso all’enorme mercato del subcontinente: una strategia win win dunque, che superi la cultura export-oriented delle Pmi italiane per tradursi in un approccio innovativo al mercato indiano, attraverso joint ventures con le Pmi locali, in un’ottica di co-sviluppo.
 
Le imprese italiane devono guardare all’India nella prospettiva di partecipare alla creazione di un enorme mercato interno in forte crescita. L’India sarà sempre meno una base produttiva a basso costo e sempre più un partner industriale globale, un enorme mercato di consumo e un hub per la fornitura dei vicini mercati asiatici. Una sfida che l’Italia deve e può vivere da protagonista, senza restare a guardare.
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