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Il Paese delle deroghe

Rischiamo di ridurci al Paese delle deroghe. Si costruiscono governi in deroga alla prassi costituzional-repubblicana. Si chiedono sacrifici generali, ma si concedono deroghe alle caste che dovrebbero vigilare sui destini della nazione. Si proclamano come quasi fatte liberalizzazioni urgenti, ma si elargiscono eccezioni a chi, corporativamente, è sempre riuscito a decidere per sé malgrado il principio dell’uguaglianza di diritti e di doveri. Si giudica disfattista chi osa richiamarsi ai fondamenti della democrazia, ma si lascia che, a decidere per tutti, siano la legge delle borse, quella dello spread (sconosciuto alla stragrande maggioranza dei cittadini contribuenti) e l’altra di una sparuta cerchia di burocrati che, da Bruxelles, tirano le fila di uno spettacolo indecente.
 
Gli istituti demoscopici registrano una progressiva diminuzione della credibilità di soggetti istituzionali, partiti, magistratura, banche, sindacati. Ci si chiede chi abbia in Italia lo scettro del potere, chi sia in grado di esercitarlo per davvero, quanto tempo occorra per passare dalla decisione alla esecuzione. E ognuno si arrangia come può, come fossimo un esercito disordinato di tribù barbare che vivono per la propria sopravvivenza, ignorando i problemi delle tribù vicine.
La regressione civile è palese. Quella della politica paurosa. Vietato accennare ad elezioni che, in democrazia, sono la regola. Qualcuno dovrà pure spiegarci perché sia imperante la deroga, che dovrebbe essere eccezionale e breve, e non aperta a qualsiasi dissennato assalto alla diligenza.
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