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La sostenibilità del debito

Non c’è dubbio che uno dei maggiori temi è il debito pubblico italiano che già da decenni ha raggiunto livelli di guardia, ma che oggi è maggiormente pericoloso a causa del deterioramento delle prospettive di crescita a livello internazionale. Ciò ha aumentato i timori circa la solidità degli emittenti, sia privati sia pubblici, che abbiano un alto indebitamento. Il debito pubblico italiano ammonta a quasi 1.900 miliardi di euro, dopo averli superati nel mese di ottobre dell’anno appena trascorso, con un rapporto debito/Pil del 118,4%.
 
Il debito pubblico, isolatamente considerato, non ci dà la corretta percezione della situazione. La Germania, per fare un esempio, ha un debito pubblico più elevato di quello italiano, avendo superato i 2.000 miliardi di euro, ma il rapporto con il Pil è dell’83,2%, tradotto vuol dire che il tessuto economico riesce a sostenere il proprio debito, anche se bisogna evidenziare come il trend sia in aumento visto che precedentemente era del 74,4%.
Ma l’andamento del rapporto debito pubblico/Pil è influenzato da molteplici elementi, ciò significa che non è comparabile negli anni senza una scomposizione del dato che tenga conto dei diversi elementi che concorrono alla sua modifica nel tempo.
 
Bisogna tenere conto di fattori puramente finanziari, che nulla hanno a che fare con l’aumento della spesa pubblica per produzione di beni e servizi, qual è l’aumento dell’interesse per attingere nel mercato finanziario le risorse necessarie al fabbisogno interno, in questo ha una grande influenza lo spread, ossia la differenza del saggio di interesse fra i titoli del debito italiano rispetto a quelli tedeschi, che ha superato il 5%.
Un altro elemento che influenza negativamente il rapporto con il prodotto interno lordo è il rallentamento della produzione, in questo caso con un duplice effetto negativo, uno sul piano delle minori entrate, riducendosi la base imponibile di calcolo delle imposte, l’altro sul piano della crescita effettiva dell’economia reale, traducendosi in minori posti di lavoro e minori consumi.
 
In questo quadro si inseriscono le scadenze dei titoli nel corso del 2012, con un rifinanziamento, secondo i dati forniti da Standard & Poor’s, di circa 184 miliardi di euro, con una potenziale crescita del rischio Paese che potrebbe portare a un aumento del tasso d’interesse passivo sul debito.
In realtà la preoccupazione maggiore arriverà all’inizio del 2014, quando andrà in scadenza oltre il 40% del debito, il quale dovrà trovare nuovamente una collocazione nel mercato. In sostanza è iniziato il momento determinante per l’Italia in cui si dovrà fare fronte a situazioni complesse.
 
Ma non è un caso tipicamente italiano. Nel suo rapporto Fiscal monitor, il Fondo monetario internazionale ha evidenziato come il debito pubblico americano raggiungerà nel 2016 il 112% del Pil, un indice non molto distante da quello italiano. Il dato americano, per certi versi, è più grave se letto alla luce dei diversi costi sostenuti dal nostro welfare state rispetto a quello del Paese a stelle e strisce che non ha una cultura in tal senso, non esistendo una struttura sociale paragonabile a quella italiana o dell’Europa continentale.
La crisi del debito storicamente non è una novità, ciclicamente si sono verificati casi di difficoltà nell’emissione e nel rinnovo di titoli in scadenza, ma in passato c’erano strumenti che permettevano di fare fronte alla situazione, con interventi a sostegno effettuati della Banca centrale.
 
Proprio questo ragionamento ci permette di cogliere la differenza che l’economista Dani Rodrik, docente di Economia politica internazionale alla School of Government dell’Università di Harvard, ha fatto fra la situazione dello Stato della California, con un’attività finanziaria dissestata, e la Grecia, anche se il raffronto può essere esteso a tutti i Paesi europei, soprattutto quelli in difficoltà. Secondo l’economista la differenza sostanziale sta nel contesto di inserimento federale in cui è collocata la California.
Sistemi di interventi che investono il livello superiore permettono di gestire al meglio le asimmetrie di un singolo Stato, sistemi che non sono discrezionali, ma automaticamente attivati nel momento in cui si presenta il problema. In Europa, secondo lo studioso, si dovrebbe raggiungere un livello di coesione politica maggiore, perché non è sufficiente solo quella economica, cosa che è praticamente avvenuta sistematicamente nel vecchio continente.
 
Detto ciò, bisogna capire, a questo punto, quali potrebbero essere le strade da seguire per evitare un aumento della problematica del debito pubblico. Una prima strada potrebbe essere la realizzazione di un avanzo primario, ossia la differenza fra le entrate e le spese pubbliche al netto degli interessi passivi sul debito, in cui la prima è superiore, che dia fiducia ai mercati di sostenibilità del debito. Premesso ciò occorrono delle politiche che diano una spinta incisiva alla crescita, in modo da ridurre il rapporto debito pubblico/Pil. Poiché non è concepibile un abbattimento nel breve periodo di un debito di questa entità, è necessario, quindi, predisporre delle politiche che mirino alla sua sostenibilità.
Naturalmente questa crisi si inserisce in un contesto internazionale, ciò vuol dire che un singolo Stato da solo non può trovare la soluzione, ma deve essere individuata a livello comunitario, fermo restando che ogni singolo Governo deve fare la sua parte. Ciò che può essere fatto è, sicuramente, la lotta all’evasione fiscale. Si è stimato che in Italia l’evasione fiscale si attesta intorno ai 100 miliardi all’anno. Una cifra che permetterebbe, se recuperata anche solamente il parte, l’abbattimento della pressione fiscale per imprese e lavoro, consentendo anche una significativa aggressione al debito pubblico.
 
Le minori entrate fiscali non si combattono con l’aumento dell’imposizione tributaria, ma con la ricerca di chi le evade, perché non è soltanto una questione di entrate di flussi di denaro, ma di giustizia e di pragmatismo. Luigi Einaudi nel 1946 scriveva che “Quando non si fa giustizia, le leggi non sono osservate, nemmeno quelle tributarie, e gli Stati vanno alla perdizione”, ciò deve farci riflettere e non chiuderci in una falsa visione delle cose, finché non c’è giustizia tributaria, il pericolo è di creare ulteriore evasione fiscale, moltiplicando gli sforzi economici per scovare chi evade le imposte.
 
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