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Open data, e oltre

Non basta più essere connessi. Essere collegati ad Internet, da qualsiasi luogo e in qualsiasi momento della giornata, è solo un punto di partenza. Stiamo andando oltre la connessione tra persone, aziende e istituzioni. Chi utilizza la rete per comunicare si aspetta oggi di partecipare con le proprie idee, influenzare le opinioni, avere un posto da protagonista nelle decisioni. A qualsiasi livello. La nuova parola chiave è partecipazione. Questo vale soprattutto per i cosiddetti nativi digitali, che hanno conosciuto tecnologia ed Internet fin da bambini, ma non solo. Se vuoi il consenso non puoi decidere per loro: li devi coinvolgere, devi interrogarli su quello che preferiscono e devi quindi condividere con loro delle informazioni. L’informazione non può più essere esclusiva di pochi, pena la perdita di consenso.
 
Dall’e-government, dove la tecnologia era solo un mezzo per trasferire on-line dei servizi, si sta rapidamente passando all’open government: un nuovo modello di governance, che usa la tecnologia per l’apertura e la trasparenza delle amministrazioni nei confronti dei cittadini. Anche in questo caso il risultato può essere molto diverso a seconda dell’interpretazione che viene data a questo modello. La pubblicazione “open” delle informazioni da parte delle organizzazioni pubbliche e private è senza dubbio un importante passo avanti verso la trasparenza, ma si deve poter offrire ai cittadini anche un mezzo per orientarsi in questo fiume di dati. I dati cioè devono essere facilmente fruibili e possibilmente organizzati.
 
Le persone oggi si aspettano di venire a conoscenza di ciò che accade, qualsiasi cosa essa sia purché possano intervenire e partecipare.
Le Pa, così come le aziende, devono capire che questo modello è ormai indispensabile: se le organizzazioni non hanno un approccio “aperto”, le persone parleranno comunque di loro, nei tempi, nei luoghi e nei modi che riterranno più opportuni. La rete Internet è ormai globale, raggiunge tutti e permette a chiunque di esprimere opinioni in maniera aperta e immediata. Questo è ciò che devono fare le organizzazioni se non vogliono rimanere schiacciati dalle opinioni dei propri stakeholder. Trasparenza, partecipazione e collaborazione rappresentano in quest’ottica i pilastri irrinunciabili dell’open government.
 
Da sempre la Pa raccoglie e archivia informazioni su molteplici tematiche; oggi, quello che deve fare, è restituire questo patrimonio informativo alla comunità.
Le nazioni che hanno investito su questo modello di “comunicazione aperta e partecipativa” stanno riscuotendo forti risultati in termini di credibilità delle istituzioni e stanno offrendo opportunità concrete, soprattutto ai giovani, che possono partecipare in modo attivo a quel ruolo “politico” che fino a ieri era ristretto a pochi e che aveva forti barriere all’ingresso.
In Italia si sta parlando da diverso tempo del modello open government, anche se siamo ancora indietro rispetto a Paesi come Stati Uniti e Inghilterra che hanno già leggi e sistemi in questa direzione. L’ostacolo riscontrato sino ad ora è riconducibile alla “digitalizzazione delle attività amministrative” e al fatto che siano presenti ancora delle barriere tecniche molto forti sull’usabilità dei siti e sul fatto che i servizi offerti on line non rispondono ai bisogni reali dei cittadini/utenti.
 
Da qualche mese, però, proprio in corrispondenza di quella Primavera araba che mai come prima ha fatto percepire al mondo intero come la rete sia ormai luogo di partecipazione e democrazia per i propri abitanti, anche in Italia temi come “open data” e “democrazia wiki” sono sempre più diffusi e sotto i riflettori. Sono nati movimenti e associazioni come Smartitaly o Wikitalia, che si occupano proprio di questi temi.
 
Il “dato aperto” (open data) è il primo, importante passo verso la trasparenza e la partecipazione attiva degli utenti. Le Pa, sia a livello centrale che locale, hanno negli ultimi mesi cominciato a liberare i dati, mettendo a disposizione dei cittadini e delle imprese un valore fatto di informazioni preziose. Comuni (Firenze, Udine), Regioni (Piemonte, Emilia-Romagna) ed altri enti mettono a disposizione sui propri web site dati visualizzabili e fruibili per tutti. A settembre è arrivato anche data.gov.it, il web site del ministero dell’Innovazione che ha l’obiettivo di raccogliere tutti i dati liberati sul nostro territorio.
Ma il dato libero non basta; se vogliamo rendere un servizio veramente utile a cittadini, istituzioni ed imprese, questi dati vanno aggregati, elaborati ed offerti sotto forma di servizi. Questo sarà l’obiettivo a cui tendere, per fare in modo che il web non sia solo popolato da una grande quantità di bit e di tabelle da leggere con difficoltà, ma sia un insieme di servizi utili, semplici da interrogare e consultare.
 
Ciò che deve avere un “refresh” per la realizzazione di questi cambiamenti è il sistema culturale del settore pubblico e l’apertura di questo verso pratiche web 2.0 in grado di favorire la produttività e l’efficienza. In sostanza, uno schema ben strutturato verso la “liberalizzazione” dei dati e una collaborazione e partecipazione attiva da parte degli utenti potrebbe prevedere queste fasi: la pubblicazione dei dati da parte del governo, amministrazioni, aziende, Enti; il monitoraggio e la collaborazione da parte dei cittadini; l’eventuale rilevazione dei problemi; la partecipazione e la sollecitazione dei feedback cittadini; la risoluzione dei problemi.
 
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Chi riuscirà a creare servizi in grado di rispondere a queste e tante altre domande, porterà vero valore a cittadini ed imprese.
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