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L’Europa, il Pd e la mancanza del metodo Lombardi

Si sta giocando in Europa e quindi in Italia una grossa partita “culturale” prima ancora che politica, economica e sociale che riguarda essenzialmente la vita delle persone, le loro condizioni presenti e future, il loro stile di vita. Perché la gravissima crisi finanziaria e economica esplosa nel 2007 negli Usa e trasmessa e/o esportata in Europa per l´interdipendenza dei mercati finanziari globali, la peggiore dalla Grande Depressione del 1930 sfociata nella Seconda Guerra Mondiale, può essere o l´occasione storica per le forze progressiste (socialisti, socialdemocratici, ambientalisti, laburisti, democratici) di ripristinare il Primato della Politica, della società, della Cultura, sulla triade: finanza, economia, mercati finanziari o, al contrario, segnare per le forze della conservazione il consolidamento del dominio, meglio della dittatura, della finanza, dell´economia e dei mercati finanziari sotto l´egida del “pensiero unico” neoliberista.
 
Siamo a uno snodo molto importante e delicato: o prevale l´interesse per la persona, quindi per l´umano, o per il denaro, i profitti, i consumi sfrenati, ossia per il “non umano”. Una sfida culturale enorme, quindi, che rimanda in parte a quella non giocata o parzialmente giocata e persa dalle forze progressiste, invece pienamente giocata e vinta dalle forze conservatrici e liberali, sull´Unione Europea quando venne istituita con il Trattato di Roma del 1957 la Comunità Economica Europea (Cee) a sei e oggi a 27. Sfida che si è ripetuta negli anni ´80 e che per incapacità o mancanza di programmi, proposte e strategia, le forze progressiste hanno perso e che invece le forze conservatrici e liberali hanno vinto: cancellati gli accordi di Bretton Woods e il Glass-Steagal Act, il tandem Ronald Reagan e Margaret Thatcher hanno imposto al mondo la ferrea logica del “meno Stato più mercato” e la razionalità dei mercati finanziari globali all´economia mondiale. Oggi ne vediamo i drammatici risultati e ne paghiamo i costi!
 
Orbene, in questi tempi drammatici, torna d´attualità, per merito del Premier Mario Monti e del fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, la lezione umana e culturale, prima ancora che politica e economica, di un personaggio scomodo della sinistra italiana: Riccardo Lombardi, l´acomunista che nel 1967 formulò la proposta di “una società più ricca perché diversamente ricca”, non più povera e austera, in senso “francescano”, ma più ricca, sobria e più allegra. Si definì la proposta una Utopia e si criticò l´autore di presbiopia.
 
Non si vide, o non si volle vedere, che invece la proposta aveva in se un profondo contenuto umano, una forte laicità, un´interesse per la persona, per i suoi bisogni materiali (un lavoro, un salario, una casa, ecc.) da soddisfare per una vita dignitosa, ma anche per i suoi bisogni “non materiali” dei quali tener sempre conto, come la fruizione di quei beni inestimabili del tempo libero – per sè, per far l´amore, per le relazioni con gli altri – della qualità della vita e della cultura. Perché gli operai – diceva – debbono saper leggere Dante e apprezzare Picasso! A ciascun individuo doveva esser permesso di realizzare a pieno la propria identità! “Un´idea brillante che ancora oggi è valida e di straordinaria attualità per la politica economica”, mi ha spiegato il responsabile economico del Pd, Stefano Fassina: “siamo interessati a raccoglierla e svilupparla”.
 
Questa proposta discende da una impostazione teorica chiara e precisa: l´inconciliabilità del socialismo, del “suo” socialismo rivoluzionario, con il capitalismo che andava riformato radicalmente dall´interno – “noi non siamo estranei al sistema” – attraverso le “riforme struttura” o “strutturali” spesso citate dall´attuale Premier Mario Monti a sostegno delle sue “liberalizzazioni”. Dice Monti: “Oggi Lombardi, che si batteva contro le rendite, forse, nel contesto attuale, sosterrebbe, non tanto la nazionalizzazione dell´energia elettrica, ma la riforme di struttura che combattono i privilegi delle corporazioni e frenano lo sviluppo del Paese”.
 
Le riforme di struttura sarebbero, secondo Monti, compatibili con la battaglia per le liberalizzazioni. Battaglia che, ha spiegato Scalfari nel suo editoriale, “non ha niente a che vedere con l´ideologia liberista. […] Monti è un riformista e un innovatore. Ci può essere una destra riformista e innovatrice e una sinistra riformista e innovatrice”. Qualche nome? E Riccardo Lombardi insieme a Antonio Giolitti viene messo assieme a Luigi Einaudi, Ezio Varoni, Ugo La Malfa, Bruno Visentini, Raffaele Mattioli, Pasquale Saraceno, Nino Andreatta, Carlo Azeglio Ciampi e Luciano Lama. Persone rispettabili, ma lontanissime dalla visione politica di Lombardi, a eccezione forse di Lama. Peccato non ci siano i veri ´amici compagni´ di Lombardi, oltre a Giolitti: Bruno Trentin, che riteneva un diritto dell´operaio saper suonare il violino usando le 150 ore di formazione continua, o Vittorio Foa, o Fernando Santi, o Giacomo Brodolini, e aggiungo Paolo Sylos Labini, Federico Caffè! “Credo – conclude Scalfari – che i nostri due Mario facciano parte di questo elenco”.
 
E´ stupefacente quest´operazione mediatico-culturale di accoppiare Lombardi e Giolitti, che per una vita si battutti per una “sinistra riformatrice e di governo”, a persone certamente di livello con Monti e Draghi ma di ben altra formazione e visione politica. Non si dimentichi che Draghi è stato un allievo di Caffè, colui che chiedeva di chiudere la borsa!
A novembre scorso sono stato alla Convention del Partito Socialista Europeo a Bruxelles, invitato a presentare il libro Lombardi e il fenicottero. Riporto ciò che ha detto la moderatrice del dibattito, una giovane ricercatrice di politiche sociali italiana dell´Università di Bristol, Lorenza Antonucci: “Lombardi ha supportato fortemente la nazionalizzazione dei servizi pubblici contro gli interessi privati. Se Monti ha difeso il movimento ´liberalizzare è di sinistra´ dei vari Giavazzi e Alesina, dicendo che avrebbe supportato tale movimento, questa è una visione davvero poco credibile. Il dibattito è fortemenete permeato da questioni di ´efficienza´, ma manca il metodo Lombardi, nel senso che l´economia non è connessa allo studio delle tematiche di uguaglianza e diseguaglianza, ma a quello riduttivo e legalista di equità/iniquità. Quindi manca una visione globale di politica economica, intesa come disciplina che non analizza solo l´aspetto funzionalista dell´economia, ma anche le sue implicazioni politiche e sociali”.
 
Il socialismo rivoluzionario di Lombardi era inconciliabile oltre che con il capitalismo anche con il neoliberismo, e lo spiegò bene alla Camera dei deputati nel 1957 nel dibattito sulla ratifica del Trattato di Roma: “[…] Proprio la crisi del 1930 dimostrò in maniera eclatante l´incapacità di quel sistema fondato sulla ´libera concorrenza´ e sulle cosiddette ´forze automatiche´ del mercato di assicurare non dico lo sviluppo delle economie moderne ma neppure la stabilità di quelle economie”. Per Lombardi le riforme di struttura avevano un senso diametralmente opposto a quello a esse attribuito da Monti e da Scalfari: non si può dire che oggi Lombardi approverebbe le liberalizzazioni perché allora fu contro ogni rendita parassitaria! Le riforme di struttura servivano a rovesciare il capitalismo, a rompere lo status quo come fu per la nazionalizzazione dell´energia elettrica, che non rinnegò mai, a redistribuire il potere a favore della ´povera gente´, dei classi lavoratori. Come fu lo Statuto dei Diritti dei Lavoratori che nel 1962 chiese a Amintore Fanfani di mettere all´ordine del giorno del Governo! O la scuola media dell´obbligo pubblica, per la quale si battè insieme a Tristano Codignola!
 
Non si fecero due grosse riforme di struttura: quella dei suoli, per eliminare la rendita fondiaria e quella del sistema bancario – l´abolizione del segreto bancario – per penetrare, “una rocca inespugnabile che ha già fatto troppi danni”, disse in un memorabile intervento alla Camera dei Deputati nel 1970
in cui criticò ´l´elegantissimo uomo´, il Governatore della Banca d´Italia, Guido Carli di incapacità o non volontà nel contrastare l´espatrio dei capitali e Scalfari per aver giustificato “la tecnica seguita, non soltanto di tollerare, ma favorire l´esportazione dei capitali allo scopo di sfuggire alla pressione internazionale”.
 
Detto ciò, e ripristinata la verità delle cose, mi preme ricordare quello che nel 1981 con largo anticipo vide la crisi della socialdemocrazia: “Lo stile di vita. E´ qui che nasce la grande ipotesi socialista, è qui che finisce la socialdemocrazia e finisce nobilmente anche, per l´esaurirsi delle condizioni che l´hanno resa possibile. O si trova una soluzione socialista o siamo alla barbarie”. E per finire, il suo monito sull´Europa unita: “bisogna farla” ma “bisogna persuadersi che l´Europa si può fare solo se socialista…La spontaneità del processo che porta lentamente alla costituzione di un´Europa unitaria, porta a questo: a un´Europa capitalistica, inserita nell´atlantismo e più dipendente dai moduli culturali e economici degli Stati Uniti”.
 
La grande speranza, per la democrazia italiana, è che il Pd, “senza se e senza ma”, entri a far parte, in pianta stabile, abbracci insomma l´adesione al Partito Socialista Europeo che nella declaration of principles della Convention ha fissato i suoi valori fondamentali: libertà, uguaglianza, giustizia, solidarietà sui quali costruire “le Società progressiste”.
 
Carlo Patrignani
Giornalista e autore del libro “Lombardi e il fenicottero”
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