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Quale Terza Repubblica?

Superati i fatidici primi cento giorni di vita dai quali, nelle maggiori democrazie, si valuta se un nuovo governo si è davvero avviato a realizzare il programma per il quale è stato creato, il ministero «tecnico» imposto dal presidente Napolitano ha prodotto molti annunci innovativi, ma esponendo nel bilancio reale solo nuovi carichi fiscali sulla generalità dei cittadini. La scorporativizzazione della struttura economica del paese resta una chimera. Le liberalizzazioni attese si vanno arrotolando attorno a resistenze e ripensamenti non propriamente produttivi. I tagli alla spesa pubblica – il principale portale della crisi che ci trasciniamo addosso da decenni – sono modesti e largamente inincidenti sia sulla diminuzione del voraginoso debito che in tema di spesa corrente. Di interventi per superare la china recessiva, non si vede traccia. Ciò che si avverte è la rapida, progressiva decrescita della politica: la stima popolare nei partiti è precipitata a un disastroso 4 per cento.
 
Che i partiti fossero da tempo malati, lo si sapeva da tempo. Che essi generalmente siano ridotti ad agglomerati di gruppi, tutti gestiti monarchicamente e con rari sprazzi di democraticità, non c’era bisogno del ministero Monti per scoprirlo. Che ci fosse un bisogno di sobrietà ai vertici istituzionali, è come scoprire l’acqua calda. Che la geografia politica nazionale sia falsa, con gruppi di estrema destra (sino al reazionarismo) impegnati a collocarsi a sinistra ovvero si candidano a rappresentare l’Italia in nome di un territorialismo fasullo, era arcinoto. Che i due principali partiti su cui si fonda il bipolarismo della Seconda Repubblica siano né carne né pesce, lo sa sicuramente quel quasi 50 per cento di elettori che si dedicano, per disperazione, all’astensionismo. Che il tecnicismo possa diventare il suggello di una Terza Repubblica, è però francamente troppo.
 
Ora, è chiaro, crisi economica e crisi politica sono due facce della medesima medaglia bucata. Non si esce fuori dal disastro economico consegnando il potere a ottimati – tutte persone degne, singolarmente prese – che si possano trasformare in politici d’eccellenza. Non esiste una ipotetica Terza Repubblica basata sui professori che si parlano addosso e sono sradicati dalla politica. È pericoloso – per l’economia e per la politica – pretendere dagli ottimati libertà dalla colonizzazione del sistema bancario e da vincoli econometrici incomprensibili ai più.
 
Si stia attenti a ciò che, magari inavvertitamente, si va costruendo: la distruzione totale della politica; nel cui vuoto, inevitabilmente sono destinati ad inserirsi demagoghi, populisti, reazionari, maneggioni del soldo, privi di scrupoli quanto a rispetto di democrazia e libertà, un binomio purtroppo ridotto ad antiche costumanze.

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