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L’unione (del salva-Stati) farà la forza?

I fondi di stabilità dell’Eurozona, l’Efsf operativo dal 4 agosto 2010 e l’Esm operativo dalla seconda metà del 2012, sono stati battezzati fondi “salva-Stati”. Il loro obiettivo è uno soltanto: salvaguardare la stabilità finanziaria nella zona dell’euro soccorrendo con aiuti finanziari i Paesi in crisi di liquidità (che non riescono a finanziarsi sui mercati a costi adeguati) o in crisi di insolvenza (non più in grado di rimborsare puntualmente e integralmente i debiti in scadenza o di pagarne gli interessi).
 
È quanto sta facendo l’Efsf per il Portogallo e per l’Irlanda e quanto in prospettiva si farà per la Grecia. Da circa due anni, dunque, Bruxelles si sta occupando a tempo pieno del salvataggio dei Paesi sull’orlo della bancarotta oppure delle misure preventive per neutralizzare i rischi di fallimenti sovrani nella zona dell’euro.
Salvare uno Stato sembra essere divenuta la norma e non l’eccezione in Eurolandia. È vero però il contrario. Il salvataggio di un debitore sovrano è un’operazione estremamente complessa, onerosa e destabilizzante e l’Europa in questo campo minato ha iniziato fin da subito a muoversi come un dilettante allo sbaraglio. I percorsi che hanno portato all’istituzione dell’Efsf, e poi dell’Esm sono stati molto accidentati, i due fondi di stabilità sono oggetto di modifiche e ripensamenti continui e non è detto che dopo il suo avvio l’Esm non verrà ulteriormente cambiato per crescere in efficienza ed efficacia.
 
Le dimensioni della potenza di fuoco dei due fondi salva-Stati, le modalità e gli strumenti di intervento, sono ancora cantieri aperti, sicuramente perfettibili. La capacità di erogare prestiti è stata fissata a 500 miliardi complessivi, cioè sommando Efsf e Esm, ma è rivedibile al rialzo e sarà riesaminata al Consiglio europeo del primo marzo 2012: tanto più grande il firewall, tanto maggiore il potere deterrente. Inoltre, per accelerare la raccolta delle risorse finanziarie – Efsf e Esm collocano sul mercato bond a breve, medio e lungo termine – idealmente uno dei due fondi dovrebbe operare come una vera e propria banca, con licenza bancaria, per attingere alla liquidità della Banca centrale europea.
 
L’Efsf (European financial stability facility) è stato ideato nel maggio 2010 per durare tre anni, fino al giugno 2013. Gli Stati dell’Eurozona, assieme al Fondo monetario internazionale (Fmi), soltanto un mese prima avevano deciso di soccorrere la Grecia con un pacchetto da 110 miliardi. I primi aiuti ad Atene sono stati erogati dai singoli Stati, tramite prestiti bilaterali intergovernativi. Questi esborsi hanno costretto i Paesi soccorritori a reperire le risorse e contabilizzarle nel fabbisogno e nel debito pubblico. Così il salvataggio di uno Stato in difficoltà, evento senza precedenti in Eurolandia, ha avuto un immediato impatto negativo sui conti pubblici dei Paesi soccorritori. Si è così passati all’Efsf, di diritto lussemburghese, che evita il trasferimento diretto di denaro tra chi aiuta e chi viene aiutato.
 
È un’istituzione che funziona con le garanzie degli Stati membri dell’Eurozona: 780 miliardi di garanzie per una potenza di fuoco di 440 miliardi (rimpolpato in corsa dopo una partenza soft con 440 miliardi di garanzie e una capacità di intervento da 250 miliardi circa).
Sull’input dei suoi azionisti, l’Efsf finora ha emesso bond con alto rating (“AAA” di Moody’s e Fitch e dal 13 gennaio 2012 “AA+” di S&P), ha raccolto denaro sui mercati a basso costo e dal febbraio 2011 ha erogato prestiti ai due Stati sotto programma di aiuto: 9,6 miliardi al Portogallo (su un programma totale di 78 di cui 26 a carico dell’Efsf) e 9,3 miliardi all’Irlanda (su un totale di 85 di cui 17,7 a carico dell’Efsf).
 
L’Efsf potrebbe intervenire per aiutare uno Stato in difficoltà anche con altri strumenti, mai attivati finora: acquistare titoli di Stato in asta o sul secondario, ricapitalizzare le banche, offrire garanzie parziali sui titoli di Stato di nuova emissione (accollandosi il primo 20% di perdita in caso di default) oppure finanziare tramite fondi di investimento co-partecipati con investitori istituzionali privati (i cosiddetti Cif). Questo fondo salva-Stati non ha tuttavia risolto il problema della ricaduta dei salvataggi sul debito pubblico degli Stati soccorritori: i prestiti erogati dall’Efsf vengono ripartiti da Eurostat nei debiti pubblici degli Stati garanti, usando le percentuali di partecipazione degli Stati nel capitale della Bce (in base a Pil e popolazione).
 
È stato allora concepito l’Esm (European stability mechanism): questo fondo, che opera con gli stessi strumenti d’intervento dell’Efsf, non si regge sulle garanzie degli Stati europei ma bensì sul versamento di 700 miliardi di capitale, di cui 80 paid-in in contanti e il resto come impegni. Questa sostanziale differenza con l’Efsf evita che Eurostat contabilizzi i prestiti Esm nei debiti pubblici degli Stati azionisti.
L’aggravarsi della crisi del debito sovrano europeo, che dall’estate del 2011 ha contagiato Belgio, Spagna e Italia, ha costretto l’Eurozona ad anticipare di un anno l’avvio dell’Esm inizialmente previsto per il luglio 2013. Questo fondo, che è permanente e regolato dalla legge internazionale, entrerà in vigore dal primo luglio 2012, nel momento in cui gli Stati rappresentanti almeno il 90% del capitale paid-in avranno ratificato con leggi nazionali il suo trattato istitutivo.
 
L’Esm ha una dotazione, cioè una capacità di erogare aiuti, pari a 500 miliardi, di poco superiore ai 440 miliardi dell’Efsf: un importo comunque inadeguato nel caso in cui dovesse servire un intervento a favore di Spagna e Italia o altri Stati, dopo gli aiuti già concessi a Portogallo, Irlanda e Grecia. Il percorso dei firewall europei non è dunque terminato: Efsf e Esm potrebbero operare in parallelo, sommando le due dotazioni per portare il totale degli interventi a quota 940 miliardi ai quali vanno sommati i 60 miliardi del fondo Efsm (European financial stabilisation mechanism disponibile a tutti i 27 Stati dell’Unione europea) per arrivare a mille miliardi solo in Europa, senza considerare l’Fmi.
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