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Il ruolo da playmaker della Cina

La Cina ha ad oggi, tra le altre, straordinarie risorse da investire, sia nel debito pubblico italiano che in quello di imprese e banche. Come spiegato da esperti economisti, questa capacità potrebbe in ipotesi aiutare l´Italia a ricapitalizzare e sostenere il suo export. Certo, potrebbe farlo sfruttando le difficoltà italiane al fine di assicurarsi un´espansione produttiva e di controllo economico stabile e persino definitivo.
 
Il tema, toccato sulle pagine del Sole 24 Ore più di un anno fa ormai, riguarda la possibile alleanza più conveniente per l´Italia, in astratto, per uscire dalla crisi: da entrambi i lati (Stati Uniti da una parte, Cina dall´altra) si presenterebbero vantaggi e svantaggi. Verso la Cina l´Italia non avrebbe una grande storia passata da vantare (salvo il ruolo preminente di Marco Polo, legato alle sue esplorazioni alla fine del 1200, e quello straordinario di Matteo Ricci che 300 anni dopo diede un forte impulso con la propria azione missionaria in Cina, diffondendo anche le scienze matematiche e lo studio dell´astronomia) e le differenze politiche e culturali non sono poche. Tuttavia un´alleanza con la Cina, per ipotesi, metterebbe probabilmente in discussione il rapporto solidissimo dell´Italia con gli Stati Uniti.
 
La Cina sta però diventando un mercato enorme di consumo di cui l´Italia potrebbe trarre vantaggi, in ragione delle enormi risorse da investire sia nel debito pubblico italiano, che in quello delle imprese e delle banche… potrebbe per pura ipotesi agevolare la ricapitalizzazione e sostenere le esportazioni, come già affermato. In alternativa, per restare nella fantageopolitica, potrebbe anche immaginarsi un´alleanza Cina/Usa… un´alleanza fra due grandi potenze, troppo grandi per non trovare accordi, e che probabilmente trascurerebbe, a detta degli osservatori, i paesi più piccoli come il nostro. E´ importante rimarcare come – facendo riferimento ai dati registrati da esperti economisti – la Cina abbia un Pil che corrisponde grossomodo ad 1/4 di quello degli Stati Uniti. Si ritiene dunque che da sola difficilmente possa innescare e trascinare la crescita globale, perché non potrà prescindere da un Occidente forte.
 
Curioso: se facciamo un passo indietro, nel corso del vertice di Cancún del 2003, notiamo che Usa ed Europa erano sostanzialmente alleate nella lamentela verso la competizione cinese, che avrebbe messo in difficoltà le imprese occidentali, dimenticando tuttavia che molti prodotti importati dalla Cina sono stati fatti da imprese occidentali là operanti. Ora: il principio-guida della globalizzazione non doveva essere l’apertura dei mercati e la fine di barriere e protezioni? Il beneficio della globalizzazione non doveva risiedere nel vantaggio di più bassi costi grazie alle importazioni di beni da chi può vendere a minor prezzo?
 
L´attuazione di questo principio ha creato una grande potenza-produttrice – la Cina appunto, e meritoriamente, s´intende! – lasciando all´occidente un ruolo più confacente a quello di consumatori. La conseguenza, come è stato saggiamente spiegato, è stata l´entrata in conflitto delle cd. tre dimensioni dell’uomo economico (produttore, compratore, investitore) in occidente, o ancora meglio, in Italia: il lavoratore italiano lavora in un’impresa di cui non compra i prodotti perché non li trova competitivi, e nella quale non investe perché essa non offre sufficiente rendimento. Se poi la stessa persona compra prodotti di un’impresa concorrente a quella per cui lavora, investendovi magari anche il proprio capitale, la sua azienda è destinata presto a fallire e lui a restare senza lavoro e di conseguenza a perdere anche le dimensioni di consumatore e di investitore. Da questo paradosso si comprende che i principi sono una cosa e le attuazioni degli stessi un’altra.
 
Un altro tema “forte” da tenere in considerazione nei prossimi anni sarà quello del processo di “normativizzazione” in Cina, conseguente al progressivo processo di democratizzazione del paese e di adesione ai trattati internazionali: saprà questo processo adeguarsi alla spinta economica attualmente in essere o ne costituirà un freno alla stessa?
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