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Per l’economia sociale di mercato

Fondata nel 1850, sul modello della napoleonica Caisse des Dépôts et Consignations (CDC), la Cassa Depositi e Prestiti (CDP) è rimasta per 150 anni una istituzione pubblica. La sua missione era relativamente semplice: gestire il risparmio postale, raccolto dagli sportelli delle Poste con la garanzia dello Stato e impiegarlo in forma di prestiti alle amministrazioni pubbliche per finanziare investimenti.
 
Con molto ritardo rispetto ai francesi (CDC) e ai tedeschi (KfW), solo nel 2003 Governo e Parlamento compresero che nel nuovo scenario economico-politico, di fronte alle sfide della competizione globale e ai vincoli del Trattato di Maastricht, CDP poteva avere missioni più ampie e compiti più complessi. E che anche il risparmio raccolto con la garanzia dello Stato, poteva essere impiegato utilmente non solo per il finanziamento degli investimenti pubblici diretti, ma anche per altre finalità di interesse pubblico. CDP fu così trasformata in una SpA, partecipata al 70% dallo Stato e al 30% da 66 fondazioni di origine bancaria (enti privati non profit, secondo la Costituzione e le leggi). A CDP fu venduta una parte delle partecipazioni dello Stato (in Enel, Eni, Terna, Poste italiane). Fu autorizzata ad emettere obbligazioni non garantite dallo Stato collocate presso investitori istituzionali. E’ stata riclassificata da Eurostat come intermediario finanziario, compreso nel Settore delle “Società Finanziarie”, uscendo così dal perimetro delle PPAA. A sua volta, la BCE – rilevando che lo statuto impone a CDP di operare come una market unit e che la garanzia dello Stato sulla raccolta postale può ritenersi di “ultima istanza” – l’ha ricompresa tra le Istituzioni Finanziarie Monetarie, come CDC, KfW, e BEI (che pur sono al 100% partecipate da istituzioni pubbliche, ed hanno una totale garanzia pubblica sulle loro obbligazioni), .
Con successivi provvedimenti, la missione di CDP è stata estesa al finanziamento dell’edilizia sociale, delle PMI, della internazionalizzazione delle imprese, delle infrastrutture in project financing. Ai prestiti si sono aggiunti investimenti in equity, attraverso fondi italiani, ed anche fondi europei, dei quali CDP è tra i primi promotori. 
Beninteso, non declina il ruolo della Cassa nel finanziamento degli investimenti pubblici: è anzi cresciuto negli ultimi anni, in termini di quota di mercato, fino a superare il 70% dei flussi annuali (vale a dire che i nuovi prestiti concessi da CDP alle PPAA sono annualmente più del doppio di quelli concessi dall’intero sistema creditizio). Ma si è constatato che, date le condizioni della finanza pubblica e i vincoli del patto di stabilità interna, il risparmio postale (220 miliardi di stock, per 12 milioni di risparmiatori) supera ormai di molto la capacità delle PPAA di indebitarsi per investire. E che dunque una parte può essere impiegata per sostenere la crescita del Paese, sia finanziando progetti realizzati da concessionari privati (opere infrastrutturali, impianti, reti e dotazioni destinati alla fornitura di servizi pubblici o di pubblica utilità), sia assicurando alle imprese sane del Paese un rimedio al credit crunch e all’ equity crunch che oggi penalizza il nostro sistema produttivo.
 
Queste attività finanziarie non incidono sul debito pubblico, così come non sono conteggiate nel debito pubblico le analoghe attività di CDC e KfW. Prima dell’uscita di CDP dal perimetro della PA, in realtà, tutto il risparmio postale era conteggiato immediatamente nel debito pubblico, perché erano prestiti di risparmiatori privati a un istituzione pubblica, quale era appunto la Cassa. Oggi, il risparmio postale è un prestito di privati a una SpA privata, che sarà poi conteggiato nel debito pubblico solo se e quando verrà impiegato per prestiti (mutui) alle PPAA o quando viene depositato nel “Conto disponibilità del Tesoro per i servizi di Tesoreria” del MEF (si tratta, infatti, in questo caso, di debiti delle PPAA e del Tesoro verso un soggetto privato, quale è ormai la Cassa).
 
Nel finanziamento delle infrastrutture realizzate in project financing o in PPP, il ruolo di CDP è diventato cruciale dopo l’esplosione della crisi finanziaria internazionale e l’entrata in vigore di un set di regole che – nell’intento di rafforzare la stabilità finanziaria – finiscono per penalizzare gli investimenti di medio-lungo termine delle banche, dei fondi pensione e delle assicurazioni (Basilea III, Solvency II, IAS). La capacità di CDP di trasformare risparmio a breve in investimenti e/o finanziamenti di lungo termine (anche grazie alla garanzia dello Stato e alla gestione prudente dei rischi e della liquidità che la caratterizza) rende il suo intervento indispensabile per strutturare piani finanziari che il sistema creditizio-finanziario riesce a coprire solo per i segmenti a breve e medio-breve termine (vedi Brebemi).
 
Sul versante del sostegno alle imprese, CDP ha promosso con MEF, ABI, Confindustria e le principali banche del Paese, il Fondo Italiano Investimenti, un fondo equity costituito per sostenere la crescita patrimoniale e manageriale delle PMI italiane e consentire loro di affrontare processi di sviluppo, aggregazione, internazionalizzazione, ricambio generazionale e riorganizzazione societaria. La dimensione attuale raggiunta dal Fondo è di 1,2 miliardi di Euro, con una quota di CDP sul commitment complessivo pari al 20,83%. Il FII opera sia attraverso l’assunzione di partecipazioni dirette, prevalentemente di minoranza, nel capitale di imprese italiane – anche in co-investimento con altri fondi specializzati – sia come “fondo di fondi”, investendo in altri fondi. L’obiettivo del Fondo è quello di allargare l’area dei “medi campioni nazionali”, imprese che, pur mantenendo la flessibilità e l’innovazione tipica delle PMI italiane, possano disporre di una struttura patrimoniale e manageriale adeguata a competere sui mercati internazionali.
 
Un secondo strumento a sostegno dell’economia e delle PMI è il “Plafond PMI”, con cui CDP, di fronte dei primi segnali di credit crunch, ha messo a disposizione del sistema bancario, a tassi contenuti, un’abbondante provvista dedicata a scadenza medio-lunga, per agevolare l’accesso al credito delle PMI. Il Plafond è stato attivato nel 2010 con una dotazione di 8 miliardi di Euro, ai fini di assicurare la copertura finanziaria sia delle spese di investimento, sia delle esigenze di incremento del capitale circolante delle imprese. Ne hanno usufruito oltre 40.000 imprese. Nell’ottobre del 2011 è stato varato il “nuovo” Plafond PMI, con cui CDP ha messo a disposizione ulteriori 10 miliardi, di cui 8 miliardi saranno destinati a investimenti e circolante, mentre 2 miliardi costituiranno un fondo rotativo destinato a fronteggiare il problema dei ritardati pagamenti dei crediti vantati dalle PMI nei confronti delle Amministrazioni pubbliche.
Per sostenere l’internazionalizzazione delle imprese, CDP ha attivato con SACE e ABI il sistema “Export Banca”, col quale ha cominciato a erogare finanziamenti a tassi competitivi per le operazioni garantite o assicurate dalla SACE. Se ne è avvalsa Fincantieri per ottenere da Carnival una commessa da oltre un miliardo di dollari per la costruzione di due mega transatlantici da crociera.
 
Da ultimo, nel 2011, il Governo e il Parlamento hanno affidato a CDP il compito di sostenere la crescita e l’internazionalizzazione anche di imprese di grandi o medie dimensioni di rilevante interesse nazionale, mediante l’apporto di capitale di rischio. CDP ha costituito una holding finanziaria, la SpA Fondo Strategico Italiano, che ha già dotato di un free capital di 4 miliardi, e che assumerà partecipazioni, di norma di minoranza, in imprese operanti in settori strategici per il Paese (difesa, sicurezza, trasporti, comunicazioni, energia, assicurazioni e intermediazione finanziaria, ricerca e innovazione ad alto contenuto tecnologico, pubblici servizi e infrastrutture) o comunque in imprese di rilevante importanza per fatturato e numero di dipendenti. Dovrà trattarsi – come la legge e lo Statuto di CDP hanno tassativamente precisato – esclusivamente di imprese in condizioni di stabile equilibrio finanziario patrimoniale ed economico, che presentino adeguate prospettive di redditività e di crescita. L’intervento del Fondo sarà finalizzato a favorirne la crescita dimensionale, il miglioramento dell’efficienza operativa, l’aggregazione con altre imprese del settore, la capacità di competere sui mercati internazionali. Cercherà in sostanza di favorire la creazione di quei grandi e medi “campioni nazionali” di cui il nostro Paese è povero.
 
Che, oltre a tutto ciò, CDP possa dare anche un contributo alla riduzione dello stock del debito pubblico, è questione oggi molto discussa, e sulla quale ancora Governo e Parlamento non si sono pronunciati. Noto che, anche in tal caso, l’esperienza europea (CDC, KfW) potrebbe dare qualche indicazione. In ogni caso, l’attribuzione a CDP di altre nuove missioni dovrà essere attentamente valutata alla luce di tre vincoli fondamentali: la garanzia del risparmio postale (che è più di ogni altro, per la sua diffusione capillare, il risparmio “degli italiani”), la classificazione Eurostat di CDP come market unit (che oggi impedisce di conteggiare il risparmio postale nel debito pubblico), e la salvaguardia del suo ruolo essenziale di principale strumento di finanziamento della crescita e della infrastrutturazione del Paese.
 
Per concludere. Sia pure con ritardo rispetto agli altri grandi Paesi europei, ma imitandone l’esperienza, anche l’Italia comincia oggi a disporre, con la nuova CDP, di uno strumento essenziale per promuovere e supportare la crescita sostenibile e la competitività del Paese. Come CDC e KfW (ed anche la BEI), CDP, ancorché partecipata dallo Stato, dotata di una missione pubblica, e assistita da una garanzia statale di ultima istanza, è e resta una market unit: uno strumento di mercato, per interventi market friendly, rispettosi delle regole della concorrenza e dei principi del Mercato Unico Europeo, a partire dal divieto di aiuti di Stato. Ma è, cionondimeno, uno strumento essenziale della “cassetta degli attrezzi” di cui dispongono i governi dell’Europa continentale, consapevoli che l’uscita dalla crisi richiede anche politiche industriali attive, capaci di sostenere l’economia, promuoverne la competitività e rilanciare la crescita.
 
La crisi di questi anni non ha infatti soltanto costretto tutti ad abbandonare l’ideologica convinzione che i mercati siano capaci di autoregolarsi; non ha soltanto dimostrato che le moderne economie di mercato richiedono buone regole e arbitri indipendenti, dotati di adeguati poteri per farle rispettare. Ma ha costretto per primi i Paesi anglosassoni, un tempo custodi arcigni della ortodossia del laissez faire, a intervenire massicciamente nel salvataggio di banche, assicurazioni, imprese automobilistiche, investendovi molte decine di miliardi di denaro pubblico. L’azione di sostegno alla crescita delle grandi casse dell’Europa continentale è in confronto assai più rispettosa del libero mercato e dei principi della concorrenza. E’, a ben vedere, uno degli strumenti caratteristici di quella “economia sociale di mercato”, che coniuga la libera competizione in mercati aperti con la coesione sociale e la garanzia dei diritti fondamentali di cittadinanza; e che è elemento costitutivo dell’Europa del Trattato di Lisbona.
 
Testo integrale dell´intervento pubblicato su Formiche di marzo 2012
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