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Verso l’età della pietra e del ferro

Le economie moderne, anche se knowlegde-based, necessitano di materie prime: energia, prodotti agricoli e minerali. L’energia ha da sempre attirato interesse per le questioni geopolitiche ma negli ultimi anni si sono scaldati anche i fronti dei prodotti agricoli (alcuni Paesi sviluppati sovvenzionano la produzione interna, altri comprano terra in Paesi meno sviluppati che spesso sono penalizzati dai prezzi crescenti dei beni alimentari) e soprattutto dei minerali: di quei minerali che stanno vedendo una forte domanda mondiale, soprattutto da parte delle economie emergenti anche per effetto della rapida diffusione di nuove tecnologie. Le cosiddette “terre rare”, per esempio, sono essenziali per ottenere magneti per turbine eoliche o veicoli elettrici, convertitori catalitici per automobili, circuiti stampati, fibre ottiche e superconduttori ad alta temperatura.
 
Con particolare riferimento ai minerali, vi è un problema di approvvigionamento, in quanto i Paesi non sono autosufficienti e devono fronteggiare un’elevata volatilità dei prezzi. Il cobalto, il gallio, l’indio e le terre rare non sono come l’alluminio, il rame, il piombo e il nichel: questi ultimi sono scambiati sul London Metals Exchange mentre per i primi il mercato è meno trasparente. Dal punto di vista fisico, si affacciano le misure imposte dai principali Paesi produttori per garantire all’industria nazionale un accesso privilegiato alle materie prime, anche mediante restrizioni all’esportazione (recente è il caso della Cina con le sue terre rare). Dal punto di vista finanziario, gli strumenti derivati che consentono a produttori e utilizzatori di coprire i rischi associati all’incertezza sui prezzi, sono diventati puri investimenti finanziari e speculativi.
 
Per fortuna l’Ue è autosufficiente per quanto riguarda i minerali da costruzione (tenuto conto dei vincoli logistici e del costo dei trasporti è conveniente avere pietra da gesso e pietra naturale sul territorio) e produce alcuni minerali industriali (argilla, perlite), anche se rimane un importatore netto per la maggior parte di essi. Il problema europeo è la forte dipendenza per i minerali metallici (platino, tantalio), considerando che la sua produzione interna si limita a circa il 3% della produzione mondiale. Probabilmente ci sono giacimenti interessanti sul territorio europeo, ma la loro esplorazione e la relativa estrazione sono costose e si inseriscono in un contesto di sempre maggiore concorrenza con altre possibilità di utilizzazione dei suoli, dovendo inoltre confrontarsi con un ambiente regolamentato e limitazioni tecnologiche in materia di accesso ai giacimenti minerari. Cosa fare quindi?
 
Secondo la Commissione è tempo di puntare sull’innovazione per sviluppare nuovi metodi di estrazione e di recupero di terre rare dai rifiuti, passando per una migliore progettazione dei prodotti ai fini del loro riciclaggio. In primo luogo l’Ue potrebbe sfruttare giacimenti minerari, a una profondità tra i 500 e i mille metri, con un valore stimato a circa 100 miliardi di euro. In secondo luogo, ogni cittadino europeo produce circa 17 kg di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche all’anno, una cifra che secondo le stime dovrebbe salire a 24 kg entro il 2020. Tecniche efficienti per la raccolta e il trattamento dei rifiuti offrono la possibilità di migliorare il riciclaggio delle materie prime essenziali quali rame, argento, oro, palladio o cobalto.
 
Lo strumento proposto dalla Commissione è un partnerariato che tra gli Stati membri e altre parti interessate (imprese, Ong, ricercatori) con lo scopo di sviluppare strategie comuni, concentrare capitali e risorse umane e garantire l’attuazione e la diffusione di soluzioni innovative. Anche se poco dotati di risorse, gli europei potrebbero diventare leader mondiali per le capacità relative alla prospezione, all’estrazione, al trattamento, al riciclaggio e alla sostituzione.
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