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Un circolo verde virtuoso

I cambiamenti climatici costituiscono un tema di grande interesse a livello istituzionale, scientifico e del mondo ambientalista e per questo sono oggetto di ampio dibattito in sede internazionale. La decisione conseguente, in ambito locale, nazionale ed internazionale di adottare provvedimenti per limitare le emissioni di gas ad effetto serra, richiede strumenti idonei per valutare, monitorare e verificare in modo oggettivo i programmi di riduzione delle emissioni.
 
L’attuale ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, è decisamente uno dei più accreditati nemici dei gas climalteranti ad effetto serra (Green house gases). Negli ultimi trenta anni, come direttore generale del medesimo ministero, e in particolar modo dopo la ratifica del Protocollo di Kyoto da parte dell’Italia, ha diretto lo sviluppo di progetti in tutto il mondo per la riduzione dei gas serra.
 
In realtà, nel nostro Paese i progetti relativi al Protocollo di Kyoto sono esclusivamente noti a coloro che si occupano di energia, in particolare all’estero, nei Paesi eleggibili in cui sono realizzati i cosiddetti Clean development mechanism projects o Joint implementation projects.
 
La grande intuizione di Clini è stata appunto “importare” standard internazionali (Ghg Standard, Iso 14040, Iso 14044) maggiormente noti in Francia e nel Regno Unito al fine di promuovere progetti virtuosi per la riduzione delle emissioni di gas serra nell’ottica del Protocollo di Kyoto in primis ma anche della direttiva Eu 20-20-20, i cosiddetti progetti carbon footprint.
 
L’impronta di carbonio o carbon footprint di un prodotto/servizio individua la quantità di gas serra generata nell’insieme dei processi fisici necessari alla produzione stessa, per esempio, nel caso dell’erogazione di un servizio alberghiero, è necessario considerare in termini di gas serra tutte le attività a monte e a valle del ciclo di vita dello stesso servizio (energia elettrica, cancelleria, lavaggio biancheria, trasporti, pulizie, rifiuti, ecc.).
 
Il ministero dell’Ambiente ha sottoscritto numerosi accordi volontari con grandi imprese italiane per la realizzazione dei primi progetti di carbon footprint nel nostro Paese; in questo modo le aziende, oltre al trasferimento di know how da parte degli esperti del ministero, otterranno l’inventario della filiera produttiva in termini di gas serra (Life cycle assessment) e la possibilità di utilizzare il progetto come leva di green marketing, una volta certificate esternamente e compensate (offsetting) le emissioni risultanti.
 
Le stesse aziende, oltre ad analizzare e contabilizzare le emissioni, si impegnano a definire un sistema di carbon management finalizzato all’identificazione e realizzazione di quegli interventi, economicamente efficienti, che utilizzino tecnologie a basso contenuto di carbonio.
 
Gli esperti del ministero dell’Ambiente hanno un curriculum internazionale maturato principalmente su progetti relativi al Protocollo di Kyoto. Sono esperti di cooperazione bilaterale e negoziazione istituzionale, ma sono stati impegnati “sul campo” in diverse aree nel mondo (Africa, Balcani, Russia, Cina, ecc.) per progetti Joint implementation e Clean development mechanism (efficienza energetica, energie rinnovabili, biomasse, forestazione, gas capturing, ecc.).
 
Ad oggi le entità pubbliche/private che hanno sottoscritto un accordo con il ministero dell’Ambiente sono: numerose università (Ca’ Foscari, Tor Vergata, UniCalabria), San Benedetto (acque minerali, che ha già terminato una prima fase del progetto e avvia la seconda), Società Autostrade per l’Italia, Coop (grande distribuzione), Pirelli, Benetton, una serie di aziende vinicole (Conti Tasca d’Almerita, Planeta, Marchesi Antinori, Mastroberardino, Montevibiano Vecchio, Masi Agricola, F.lli Gancia, Michele Chiarlo Azienda Vitivinicola e Venica&Venica), Palazzetti (impianti di riscaldamento), Gruppo San Marco (vernici), LeFay (turismo).
 
È in fase di valutazione il bando di gara per la promozione del carbon footprint che consentirà ad altre aziende, pubbliche e private, di inserirsi in questo programma progettuale adeguandosi agli standard promossi dal ministero.
 
L’obiettivo nel breve è quello di realizzare e accreditare standard nei più importanti settori di mercato in Italia mentre la strategia di più ampio respiro è di “disseminazione” del know how attraverso un volano che auto alimenti il mercato volontario del carbon foot-print: se il leader di mercato stabilisce una best practice, il follower non può che muoversi nella stessa direzione a tutto vantaggio dell’ambiente e di tutti gli indicatori socio-economici che ne gioveranno (sostenibilità, salute, occupazione).
 
Non serve sottolineare quanto il mercato pubblicitario si sia occupato di soluzioni per l’ambiente nell’ultimo periodo oppure quanto i focus group delle multinazionali riflettano un’attenzione all’ambiente in termini di “fattore rilevante per l’acquisto” di un bene o servizio. I progetti di carbon footprint in un mercato volontario sono un segnale dell’importanza che la qualificazione ambientale delle produzioni sta assumendo anche nel nostro Paese e del valore che l’imprenditoria più lungimirante dà alla connotazione “verde” del proprio marchio.
 
Il corollario di tutto il programma è chiaramente la diffusione e la sensibilizzazione. Oggi acquistando una busta di patatine non leggiamo sull’involucro che 75g di Ghg sono rilasciati nell’atmosfera a causa loro, essere informati significherebbe poter scegliere e attivare comportamenti virtuosi anche dal lato consumatore.
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