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Il caso Caggiati e la forza della manifattura made in Italy

“Molte persone, oggi, amano le superfici lucide e inalterabili perché moda e pubblicità rinviano anche il bronzo a questo tipo di finitura. La bellezza del bronzo consiste, invece, nella sua alterabilità che, con il passare degli anni, non lo distrugge, ma lo arricchisce, narrandone la storia“.
 
A parlare è Vittorio Asti, in arte Vas, il maestro d’arte che ha contribuito a creare l’identità forte e riconoscibile della Caggiati, azienda di Colorno (Parma) leader italiana, e non solo, nella produzione e commercializzazione di prodotti per l’ornamento cimiteriale e per il bronzo artistico.
La storia della Caggiati dice molto dell’industria e della manifattura in Italia. Suggerimenti e indicazioni che non dovrebbero andare dispersi ma fatti tesoro comune, patrimonio di esperienza condivisa, codificata. Per fare meglio. Per programmare uno sviluppo sistemico.
La storia della Caggiati è esemplare per quello che vuol dire nel mondo made in Italy in campo manifatturiero. Così come è esemplare nell’aiutarci a comprendere quali condizioni al contorno, per la verità più sotto l’aspetto sociale che sotto quello finanziario, hanno contribuito a farle perdere vigore e parte dei vantaggi competitivi su cui per decenni aveva costruito il proprio successo internazionale.
La Caggiati nasce per opera del suo fondatore Claudio Caggiati nel 1959 a Colorno, località vicino a Parma già centro industriale di grande importanza per via della Barilla nel settore alimentare e della Bormioli nella produzione del vetro. Claudio Caggiati è un commerciale che si è formato nella vendita di prodotti alimentari. Ha fiuto per gli affari e per le opportunità. Individua grande potenzialità nel mercato degli arredi destinati all’uso cimiteriale e decide di buttarsi in questa iniziativa. Crea in pochissimo tempo un’iniziativa che sarebbe stata l’embrione di quella multinazionale che ha saputo attirare l’attenzione dell’azienda leader a livello mondiale del settore: la Matthews. Il modello di business inziale è semplicissimo. Claudio Caggiati è il direttore vendite che corre lungo l’Italia settentrionale costruendo relazioni commerciali forti mentre affida ad un gruppo di artigiani (terze parti) la produzione di epigrafi e vasi in acciaio inossidabile. La chiave del successo negli affari è individuare vantaggi competitivi difendibili nel tempo. E Claudio Caggiati, anche se non ha frequentato un MBA, lo sa perfettamente. Infatti, per rendere unica la linea dei suoi prodotti ne affida il design a Vinicio Calcabrini e Eros Bollani.
 
La Caggiati cresce in termini di fatturato molto rapidamente merito del piglio commerciale del suo fondatore e del modello di business che ha una catena del valore essenziale.
Negli anni 70 la svolta. Claudio Caggiati incontra Vittorio Asti, erede di una famiglia di maestri d’arte che sta conoscendo un periodo di crisi dovuta alla rarefazione della domanda di bronzi artistici a uso cimiteriale o memorialistico per via degli elevati costi di produzione. Il settore aveva bisogno di una migliore allocazione delle risorse. Era necessario conciliare la creatività e la capacità di modellare i metalli dei maestri d’arte con l’efficienza dei processi produttivi, tipica dell’industria. Dall’incontro tra Claudio Caggiati e Vittorio Asti nasce la fonderia d’arte. Caggiati verticalizza la sua esigua catena del valore internalizzando la produzione. Attraverso le tecniche del shell moulding, della cera persa, la Caggiati diventa il leader del settore in Italia sapendo coniugare un ampio catalogo frutto dell’inventiva, dello stile e del gusto dei suoi maestri d’arte, e la produzione in serie tipica dell’industria. Come Vitelli ad Avigliana fece per i suoi motoryachts, Ferrero ad Alba con la nutella. Cose belle che piacciono a tanti.
 
Storie di successo che ci lasciano alcune fondamentali verità:
1. Che l’Italia è terra di manifattura. L’unica organizzazione delle risorse (capitale e lavoro) che produce esternalità positive, economiche e sociali. Capace di creare per chi vi lavora ricchezza, competenze, attaccamento al territorio in cui essa si radica.
2. Che la manualità, la capacità si saper fare è il pilastro dell’edificio economico di un paese che intende rimanere avanzato.
3. Che i vantaggi competitivi sono fatti di tante cose: design, abilità nell’utilizzo del marketing e della comunicazione, di efficienza nei processi di gestione della produzione.
4. Che un tessuto di imprese ad alto contenuto di conoscenza possono esistere solo come propaggine di un sistema economico e manifatturiero che fa cose. Cose che si toccano di cui va fatta manutenzione e che, dopo un certo tempo, vanno sostituite con buona pace di Schumpeter.
 
Queste quattro regole d’oro permettono a una società avanzata, che non può vivere che di capitalismo, di equilibrare quella deriva indotta dalla società dei consumi, quella che un’interpretazione distorta del capitalismo stesso ha contribuito a fabbricare. Quella deriva che ha prodotto un popolo di consumatori omogeneizzati privati dell’unicità nel gusto e di quel sincretismo di cui il marketing dove sapersi fare interprete.
 
Per tornare alla Caggiati, vale la citazione che apre quest’articolo. E che trova conferma al banco del macellaio dove la signora acquirente chiede un pezzo di carne che non sappia troppo di carne. A dimostrazione che tanto lavoro nello sviluppo delle bestie ricercando alimenti che ne esaltino l’unicità del sapore finisce nel non incontrare il gusto deodorizzato del cittadino globale.
 
Dall’altra parte una generazione di giovani studenti cresciuti con il mito della finanza e degli sbocchi professionali nell’information technology in aziende capital intensive, che finiscono con inflazionarsi a vicenda. In un mercato del lavoro, quello del terziario avanzato, che si è dilatato facendo corrispondere all’aumento dei posti di lavoro la diminuzione del salario pro capite. Il tutto a scapito della manualità, intesa come quella capacità di saper fare, di saper creare, la capacità di estrarre la statua dal blocco di marmo o di bronzo che ha fatto l’Italia grande, la terra delle città d’arte.
E così, la globalizzazione, da fenomeno che andava governato sapendo scegliere, caso per caso, se fosse opportuno o meno rimanere a produrre in Italia, è finita con il diventare la giustificazione, la destinazione cui affidare la mentedopera di generazioni di giovani senza orientamento.
Torniamo a produrre in Italia. Conviene a tutti.
 
 
Michele Fronterrè, siciliano, laureato in Ingegneria Aerospaziale al Politecnico di Torino 10 anni fa. Nel 2007, ha co-fondato presso I3P, l´acceleratore d´imprese del Politecnico di Torino, Ingenia, una start-up che opera nel mercato dell´uso razionale dell´energia. Dalla fine dello stesso anno si occupa anche dello sviluppo commerciale di Cantene, società sempre all´interno di I3P che si occupa di servizi di ingegneria quali l´analisi, mediante l´utilizzo di simulazioni numeriche, di fenomeni d´incendi in spazi confinati.
Ha scritto “Imprenditori d´Italia, storie di successo dall´Unità a oggi” (Edizioni della Sera, 2010)
 
Spunti di lettura
Marina Rossi “Quando arrivano gli americani” Edizioni Kappavu
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