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Una frantumazione pazzesca

Una frantumazione pazzesca
Alto Lazio, sei comuni al voto per un complesso di 140 mila elettori, una frantu­mazione pazzesca di candidati sindaci e di liste. Ladispoli (27 mila elettori), 9 aspiranti sindaci e 19 liste con circa 300 candidati. Cerveteri (28.465 elettori), 9 candidati per la guida del comune, 13 liste con 206 candidati. Allumiere (3.461 elettori), 3 candidati a sindaco, 5 liste con 80 candidati. Civitavecchia (43.964 elettori), 9 candidati per il vertice comunale, 29 liste per complessivi 651 candidati. Tarquinia (13.926 elettori), 7 candidati a sindaco, 14 liste con 204 candidati. Montalto di Castro (7.269 elettori), 5 aspiranti-sindaco, 7 liste con 112 candidati.
 
Indipendentemente dagli esiti, i numeri di partenza del complesso delle cittadine costiere laziali (eccetto Allumiere) fotografano una realtà tutt’altro che tendente alla coesione. Il dato da rilevare, però, è che la frammentazione, più o meno accentuata nei singoli centri, è l’aspetto costitutivo di un corpo elettorale vero: quello che i politologi e i sociologi d’ogni tempo definiscono «società civile», solitamente assunta in contrasto con la «società politica». I comuni segnalati rappresentano sicuramente un microcosmo della società laziale, non qualcosa di eccentrico. Anzi, a giudicare dalla presenza co­stante in quei centri, per la prima volta, del movimento 5 stelle richiamabile a Beppe Grillo, non è erroneo ritenere che gli stessi comuni andati alle urne costituiscono anche, con larga approssimazione, un microcosmo di valenza nazionale. In tutte le località erano presenti liste di partiti nazionali, affiancate (o avversate) da liste civiche.
 
Una siffatta «società civile», pur non essendosi espressa in termini politici ed avere inevitabilmente risentito di questioni locali e del richiamo di personalità non di calibro nazionale (anche laddove c’erano in pista parlamentari in carica), ha votato nel segno del bipolarismo. Le leggi elettorali adottate sono state varate dopo il 1994. Viene logica­mente da chiedersi se ed in quale misura la «società civile» condivida i meccanismi elettorali amministrativi in vigore.
E se, e sino a che punto, saranno gestibili amministrazioni civiche che risentiranno inevitabilmente di una frantumazione di ideali (si fa per dire), di proposte differenziate offerte agli elettori, di rapporti con gli esclusi (i votanti per le liste soccombenti) considerando che, per le liste non vincenti, ce n’erano di allestite di proposito al fine di potere giungere, nell’intervallo fra primo e secondo turno, a compromessi di potere in cambio di voti marginali, ma decisivi, quindi mercanteggiabili in sede di ballottaggio.
 
La moltiplicazione straordinaria di liste e di aspiranti consiglieri comunali rende risibili le teorie e i riti di un bipolarismo che pretendeva di scongiurare i «guasti» pro­dotti dal proporzionalismo e dalle preferenze. Non convalida la pretesa che un podestà straniero possa risolvere problemi che la politica, vista la sua attuale impo­polarità, pare persino non comprendere. Non può essere d’esempio per la chiusura delle trattative in corso per una più seria riforma elettorale rispetto ai porcellum e ai mattarellum ingannatori e non rappresentativi degli orientamenti presenti nella società. Obbliga le forze politiche a rigenerarsi non ricorrendo a scorciatoie o furbastrerie come il grancoalizionismo e il prolungamento della provvisorietà inconcludente. Dimostra che un ritorno alla politica dei distinti, per quanto amara, è pur sempre preferibile al ricorso agli ottimati e alla tecnicalità bancaria imposta al di fuori di un fondamento elettorale popolare.
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