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Da Aldo Moro al pulviscolame

Quel 9 maggio 1978, data tristissima per gli italiani non imbevuti di ideologismo settario, e dolorosa per la politica trovatasi orfana della sua più lucida e vivace intelligenza, è come un segno di memoria collettiva smarrita, un pallido ricordo di tempi che non potranno tornare mai più. L’assassinio di Aldo Moro e lo stesso insegnamento della sua lotta per la vita nel carcere brigatista rosso non trova ricordi doverosi nell’Italia del 2012, attraversata da divisioni meschine, prive di visioni del dove andare per ergersi fuori del pulviscolame delle sue mille e mille fazioni di una politica ormai incomprensibile anche ai principali suoi attori.
 
Allora la morte tragica di Moro riaprì le vertenze partigiane, sbriciolò il tessuto di una politica propositiva volta a realizzare la politica possibile. Ora l’Italia è attraversata da una miriade di pretendenti al possesso dello scettro democratico accompagnata da una sospensione di sovranità che lascia increduli i meno passionali sulla incapacità stessa della transizione di trovare – e dove – il bandolo di un riscatto politico, economico, civile, nazionale.
 
Nessun sussulto d’orgoglio si delinea sull’orizzonte prossimo. Lo squallore delle divisioni amareggia i superstiti di un’alta stagione pur degna che Moro tentò di difendere dall’assalto terroristico contro uno Stato garantito dalla fermezza della democrazia cristiana. Nessuna proposta sul come uscire dallo squallore dei meticciati culturali odierni è avanzata, dinanzi al rischio di un ulteriore peggioramento.
 
Pensare di risalire il precipizio nel quale siamo precipitati delegando la nostra sovranità a pochi oligarchi che stanno altrove, fuori di un’Europa disegnata politicamente, è un insulto a De Gasperi e ai suoi esempi di libertà. Immaginare grandi coalizioni che neppure ressero all’antagonismo che si rifece padrone della politica a cadavere di Moro ancora caldo, non sembra costituire un richiamo valido per gli elettori di oggi, compresi gli astenuti aumentati ancora di numero nel voto amministrativo di tre giorni fa. Lasciare in essere un governo di cerusici, tutte degne persone ma politicamente inconsistenti, non è operazione saggia, ma segnata da cinico pragmatismo. Fingere che il voto del 6 maggio sia stato un incidente di percorso, neutro e politicamente insigni­ficante, è segno di debolezza e trascuratezza umana e civile.
 
E la memoria di Moro resta marginale, irrispettata, quasi capovolta. Non è questo il modo migliore per ricordarne i meriti e neppure la sua nota tendenza a smussare ogni dubbio prima di assumere decisioni straordinarie. Che a taluni parevano incantatrici e, oggettivamente, costituivano invece il massimo di unità che di potesse far scaturire da un paese diviso e insolidale.
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