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Interesse nazionale. Tra sicurezza e libertà

La relazione annuale che il Dipartimento informazioni per la sicurezza ha recentemente consegnato al Parlamento affronta molteplici aspetti che attengono alla sicurezza nazionale. Accanto ai temi che più tradizionalmente sono oggetto delle analisi dei servizi segreti, uno spazio considerevolmente maggiore ha acquisito ormai l’intelligence economica. La morsa della crisi finanziaria ha effetti significativi sulla società, mettendo a rischio la coesione civile, ma anche sulle attività economiche. Pur con le dovute cautele del caso, i nostri 007 hanno espresso con chiarezza i timori che asset strategici nazionali possano finire nelle mani sbagliate. Non si tratta, come è evidente, di porre limiti al libero mercato, ma di capire se e come lo Stato deve esercitare le sue prerogative. Sebbene la consuetudine con gli affari economici da parte dei servizi segreti di Paesi europei come Francia, Germania e Inghilterra rappresenti una esperienza consolidata, in Italia le diffidenze restano notevoli. E il processo non compiuto nella integrazione della Ue certamente non aiuta. Nell’affrontare un tema così complesso, Formiche ha scelto di partire da un argomento “fondante”, il concetto di interesse nazionale.
 
Paolo Savona La definizione di interesse nazionale, come per altri concetti che riguardano l’organizzazione della società, richiede un riferimento logico-filosofico preciso. Nel caso della cultura occidentale possiamo ancorarlo al concetto di libertà come limite. È essenziale questo riferimento per la definizione del tema in discussione. Questo concorre a definire il problema di chi tutela l’interesse nazionale, tenuto conto che vi sono vari modi per organizzare lo Stato. Io mi atterrei all’organizzazione tipica dello Stato post-borghese che, dopo aver provveduto a esercitare le funzioni fondamentali di tutela del territorio, tutela della legislazione, della difesa esterna e dell’ordine pubblico interno, ha aggiunto la tutela delle minoranze svantaggiate, cioè il welfare. Gli organi che tutelano gli interessi dello Stato sono ordinari e straordinari. I servizi di informazione per la sicurezza dello Stato sono straordinari perché si muovono in un habitat giuridico peculiare, che è uno dei punti più difficili da stabilire e far accettare. Tra i poteri dello Stato, la magistratura non ha mai accettato il concetto di straordinarietà di questi organi. La definizione tra organi ordinari e straordinari è parte della riforma dei servizi per la sicurezza dello Stato e mette in evidenza l’importanza dell’obiettivo di elevare la cultura dell’intelligence pubblica.
Entrambi gli organi, ordinari e straordinari, devono rispettare le proprie competenze e collaborare tra loro. Una volta definite le competenze si può risalire al contenuto dell’interesse nazionale e delle funzioni dello Stato che lo tutelano.
Interesse nazionale e intelligence economica sono due facce della stessa medaglia. L’esempio classico è la tutela dei campioni nazionali. Per questo sono partito dal concetto della libertà come limite. Quale è il limite dei campioni nazionali francesi collocati all’interno dell’Unione europea e dell’Organizzazione mondiale del commercio?
La definizione data da Bill Clinton sull’intelligence economica che comprende la tutela delle imprese americane rientra in questa categoria? Ho dubbi al riguardo. Perciò parto dalla definizione della libertà come limite.
 
Gianluca Ansalone L’interesse nazionale è la somma di due elementi fondamentali dello Stato: da un lato la percezione di sé, dall’altro la percezione dell’altro da sé, di ciò che è fuori dai confini e nel mondo.
La percezione di sé, se rapportata alla storia contemporanea del nostro Paese, rende evidente il perché il concetto di interesse nazionale non sia mai divenuto patrimonio pubblico. La storia tutta particolare dell’Italia ha impedito a questo concetto di attecchire come patrimonio condiviso. Ci vorrà del tempo, ma credo che ci arriveremo.
Occupandoci invece di ciò che accade fuori da noi, la percezione dell’altro da sé, i mutamenti dello scenario internazionale oggi impongono una riflessione sul concetto di interesse nazionale, quindi sulla proiezione della nostra immagine, del nostro agire pubblico a tutela degli interessi nazionali, anche nella dimensione internazionale. Per trovare il punto di unione tra questi due elementi è richiesta una capacità di analisi e leadership senza precedenti. Una capacità di interpretare e leggere i fatti che accadono nel mondo e la capacità di mettere insieme le diverse componenti della sicurezza nazionale e internazionale, stabilendo quali sono le priorità verso cui è il caso di indirizzare non solo le scarse risorse finanziarie, ma anche quelle culturali e politiche.
 
Francesco Galietti Sul concetto di interesse nazionale si registra una incertezza ad esprimersi, una timida balbuzie da parte del nostro Paese. Ciò ha senz’altro a che fare con la nostra storia. In Italia c’è sempre stata la tendenza a definire l’interesse nazionale in maniera “binaria”, dibattendosi fin da epoca risorgimentale tra pressioni esterne e particolarismi domestici. Questo modo di procedere si è perpetuato fino ad oggi, e fa in modo che nemmeno tra le élites o aspiranti tali vi sia chiarezza sui contorni del concetto di interesse nazionale. Ciò a sua volta fa sì che sul medesimo concetto si registrino vistose asimmetrie. Dal punto di vista economico osserveremmo ad esempio che nel 2005 la contendibilità delle banche non era un tabù insormontabile – al punto che la quarta banca italiana è divenuta, dopo alterne vicende, di proprietà francese, e la presenza straniera nel sistema bancario italiano è un dato ormai acquisito. La stessa logica di laissez-faire non sembra invece valere per l’industria e sui settori a rete!
 
Paolo Messa Nella relazione presentata in Parlamento, il Dis ha inserito in un box una definizione di interesse nazionale. Pur non essendo puntualissima, rapprenta un primo, positivo, tentativo di perimetrazione di un concetto, quello dell’interesse nazionale, non presente in Costituzione. Per la verità, Camera e Senato nel 2006 approvarono una riforma, poi bocciata dal referendum confermativo, che modificando il Titolo V introduceva una clausola di salvaguardia fondata appunto sul principio dell’interesse nazionale. Era un modo corretto, a mio avviso, di regolare l’eventuale conflittualità fra Stato e Regioni ed era l’occasione per dare ulteriore sostanza e concretezza all’idea unitaria della Repubblica italiana. Purtroppo questa previsione di riforma era inserita in un progetto più ampio, troppo ampio, ed il risultato inevitabile fu la bocciatura popolare. Questo però non toglie la bontà dello spunto, che infatti registrò un consenso quasi unanime fra le forze politiche. Per venire al punto: io considero fondamentale che l’interesse nazionale sia un principio costituzionale, anzi “costituente”. In attesa che il Parlamento modifichi la nostra Carta, non escluderei la possibilità di un primo intervento per via ordinaria. Il decreto Golden share, o i successivi decreti attuativi, possono essere un intrigante banco di prova.
 
Paolo Savona Insisto nel dire che è difficile dare una risposta se partiamo dalla coda del problema. Un tempo l’interesse nazionale nello Stato westfaliano era chiaro: l’integrità del territorio, la difesa con organi ordinari e straordinari, il rispetto dell’ordine pubblico e della legge da parte di tutti. L’integrazione economica ha fatto saltare questo assetto istituzionale; alcuni dicono che lo Stato westfaliano è defunto; io non lo vedo ancora defunto, è però certamente menomato: le integrità del territorio e della popolazione (dopo l’accordo di Schengen e le istanze dell’immigrazione), sembrano saltate. Non avendo trovato una risposta allo Stato post-westfaliano non siamo in grado di dare risposte certe a problemi, ad esempio, come la Golden share. Per cui dico che sono più rispettoso di questi accordi internazionali, dell’utilità della globalizzazione, e sono invece contrario alla tutela dei Campioni nazionali. Come ci si deve comportare nelle circostanze attuali? E poi cosa significa tutela dei Campioni nazionali? Significa solo che nel Consiglio d’amministrazione ci metti una persona? Un delegato politico non andrebbe bene perché ti porterebbe dentro le istanze di parte. Sarei propenso a dare un giudizio positivo alla Golden share, ma chi la gestisce? Allora perché non facciamo diversamente? Altrimenti mettiamo un ulteriore strumento nelle mani della politica in un momento in cui la politica non ha risposte ai problemi della popolazione. I partiti non hanno la risposta di qual sia lo stato post-westfaliano, qual è il concetto di libertà come limite.
 
Gianluca Ansalone Sono assolutamente d’accordo con l’opinione del professor Savona. Dobbiamo tentare di dare una risposta condivisa su quale tipo di governance vogliamo, e capire la percezione che abbiamo di noi stessi in questo Ventunesimo secolo. È da lì che bisogna partire. Tutti i Paesi seri lo fanno attraverso una riflessione anche pubblica, un documento. Insomma, io penso che nel nostro Paese manchi, e sia mancato finora, una sollecitazione per arrivare ad una piattaforma condivisa, quella che io chiamerei una strategia di sicurezza nazionale, in cui all’interno ci sia l’individuazione per temi e per aree geografiche delle nostre priorità, dei pilastri che devono ispirare la nostra azione internazionale. Partire da qui significa mettere in sicurezza quel patrimonio di interesse condiviso che sta fuori da qualsiasi tipo di partigianeria e sta fuori da quell’appetito politico di cui parlava il professor Savona. Un esercizio del genere aiuterebbe a individuare quei settori prioritari su cui intervenire. Il tema di cui parlavamo prima, la presenza cioè per la prima volta nella relazione al Parlamento sul sistema di intelligence di un box sull’interesse nazionale, è un punto di partenza fondamentale perché va a definire un perimetro. C’è però un compito fondamentale che riguarda la politica: non tanto quello di tracciare un perimetro, ma piuttosto di fornire una declinazione. Si tratta cioè di partire da quello spunto per declinare i temi e le priorità. Aggiungo, anche, che la relazione tra politica e sistema di intelligence, che in passato ha sofferto di qualche discrasia, è una relazione che può diventare biunivoca: alla politica spetta il compito di individuare gli indirizzi, le priorità, gli interessi da tutelare, se possibile anche in maniera attiva, “offensiva” si direbbe, verso l’estero. Però non sono rari i casi nei Paesi culturalmente più evoluti, Stati Uniti in testa, in cui il sistema di intelligence sollecita la politica su determinati aspetti. Ricordo che il direttore nazionale dell’intelligence Usa, ammiraglio Dennis Blair, nel 2010 illustrando il suo Annual Threat Assessment davanti ad una platea di senatori e deputati che si aspettavano di sentire il consueto drammatico riferimento al terrorismo di Al Qaeda, stupì tutti dicendo: “La principale minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti e ai suoi interessi è la crisi economica finanziaria globale”. Una cosa che era già chiara a tutti ma che sembrava strano potesse provenire dalle parole di un tecnico dell’intelligence; questa presa di coscienza collettiva ha determinato un passaggio al dibattito politico: il Congresso, da quel momento, non ha più solo ragionato sul tetto da mettere al debito pubblico, ma anche sul perché procedere sulla strada del risanamento fosse ormai una questione di sicurezza nazionale.
 
Francesco Galietti Condivido l’approccio pragmatico di Paolo Savona, e segnalo che molti buoi sono usciti dalla stalla, anche se questo di per sé non è una ragione per astenersi dal ragionare sull’“interesse nazionale”. Nel 2008-2009 il ministero degli Esteri insieme al ministero dell’Economia istituirono, ed è ancora lì, un Comitato strategico per la tutela degli interessi italiani, economici, esteri. Nelle prime fasi di lavoro venne data molta attenzione al fenomeno dei fondi sovrani e all’impatto che si credeva all’epoca potenziale, sull’economia italiana. Le ricognizioni non furono immediate, per la semplice ragione che molti investimenti erano su soggetti “target” non quotati e quindi non regolati da obblighi d’informativa, notifica e via dicendo. Alla fine delle ricognizioni emerse che, per esempio, moltissime società di handling portuale italiane sono già in mani asiatiche, ragione per cui discutere oggi del decreto sulla Golden share rischia di essere un pianto sul latte versato. Ci sono Paesi che non hanno stampato a fuoco l’espressione “interesse nazionale” nelle proprie norme domestiche e nemmeno nella Costituzione, ma hanno ben chiaro quello che è il loro effettivo interesse nazionale. È il caso di Israele, ad esempio. Guardando più vicino a noi, per l’interesse nazionale la Germania si è fatta tanto male, il Presidente federale Horst Köhler, due giri di giostra fa, venne, in una vicenda non ancora del tutto chiara, indotto alle dimissioni dopo una polemica scaturita sulle sue considerazioni sull’intervento tedesco in Afghanistan.“I tedeschi” diceva lui, “fanno bene a mandare i militari in Afghanistan perché tutelano al tempo stesso l’interesse nazionale ed economico tedesco”. Apriti cielo! In meno di 48 ore dovette fare pubblica ammenda e dimettersi. Quindi su questo concetto forse occorre pragmatica prudenza.
 
Paolo Messa Le deplorevoli degenerazioni della presenza dello Stato in economia rischiano di portarci fuori strada e di confondere gli aspetti di governance con quelli che attengono ai valori nazionali condivisi. Un conto è criticare la lottizzazione dei Consigli di amministrazione e un conto ben diverso è la valutazione del ruolo strategico di imprese come l’Eni o Finmeccanica. Non possiamo, per ragioni di prudenza che capisco e apprezzo, pensare di lasciare le cose come stanno, mettendo a rischio asset strategici per il Paese. La battaglia culturale, e politica, per fare in modo che il sistema dei partiti rientri in una logica di Stato minimo è compatibile, anzi necessita, di una battaglia altrettanto giusta per rafforzare l’idea di interesse nazionale. È chiaro che, in questo senso, lo strumento della Golden share vale quello che vale. Però, sarebbe un segno, un segnale, chiaro e opportuno. Paesi come Stati Uniti, Francia, Germania, Inghilterra, Israele sono consapevoli delle opportunità che la globalizzazione offre loro e non sono certo ostili alla concorrenza ma non di meno proteggono in chiave difensiva quanto offensiva i loro legittimi interessi westfaliani. Noi abbiamo avuto e abbiamo un sistema-Paese più fragile in cui è accaduto e accade di registrare pochi investimenti stranieri e più numerose acquisizioni. Per concludere, l’inserimento di una definizione di interesse nazionale nella legislazione italiana non mi parrebbe una bestemmia illiberale.
 
Paolo Savona Nello Stato westfaliano, soprattutto concepito come economia chiusa, la tutela degli interessi nazionali era definibile abbastanza bene. In uno Stato post-westfaliano salta questa definizione. Penso allora che, invece di insistere sui contenuti da dare alla definizione di interesse nazionale, dobbiamo passare a definire i contenuti della sicurezza nazionale. È chiaro che usando i diagrammi di Venn, si può avere una sovrapposizione tra i due concetti e la sicurezza nazionale, che era poi l’idea di Clinton, coincide con l’interesse nazionale. La confederazione americana è politicamente più solida, mentre in Europa abbiamo la tendenza ad un’integrazione più ampia tra i 27 Paesi membri, ma non vogliamo rinunciare allo Stato westfaliano. Lavorare al concetto di sicurezza aggira le difficoltà di definire i contenuti dell’interesse nazionale. I problemi valutati solo in termini di tutela degli interessi nazionali portano fuori strada rispetto alla necessità della cooperazione internazionale. Il discorso di sicurezza riguarda anche la sensazione della sicurezza che un Paese ha in se stesso, e oggi la sensazione dell’Italia dopo quello che è successo, è che non si ha neppure sicurezza sul debito pubblico italiano, o sicurezza sul finanziamento del credito alle imprese e così via, per cui propongo di riordinare i ragionamenti fin qui sviluppati in chiave di sicurezza nazionale piuttosto che di interesse nazionale.
 
Paolo Messa Potremmo dire che il principio dell’interesse nazionale corrisponde all’idea di tutela della sicurezza nazionale in senso lato. È un principio che conviene mettere a verbale, sperando che sia un seme che col tempo dia dei frutti. Storicamente, l’attività di prevenzione e sicurezza è affidata al governo. Ma se tale servizio acquisisce valore “costituente” è evidente che la necessità di definire più precise forme di check and balance si fa più stringente. Presidente della Repubblica, governo e Parlamento debbono avere ruoli chiari ed efficaci nella nuova governance dell’interesse/sicurezza nazionale.
 
Gianluca Ansalone Se affrontiamo il tema dal punto di vista della sicurezza riempiamo tutti i piani che ci servono. Nell’ottica della sicurezza, ad esempio, oggi il cleavage principale è quello tra crediti e debiti: ci sono Paesi al mondo sommersi dai debiti, che hanno opzioni politiche e strategiche limitate, e altri che possono spendere e pensare a rafforzare il proprio peso globale. Questo può scatenare addirittura un conflitto, come qualcuno scrive? In passato a volte è stato così. Un secondo aspetto strategico è che oggi la crisi ci impone di declinare le priorità sulla base delle risorse disponibili.
Avanzo infine una proposta in merito alla provocazione di Paolo Messa, su chi possa avere in ultima istanza un ruolo di analisi e supporto alle decisioni su queste tematiche: sono convinto che l’idea di un Consiglio per la sicurezza nazionale sia ormai matura anche in Italia. Di fatto, la recente attivazione in maniera permanente del Cisr ci assomiglia molto. Perché non fare allora un passo in avanti e istituzionalizzare uno strumento del genere?
 
Gianluca Ansalone Esperto di intelligence e sicurezza.
Docente presso la Link Campus University e presso
l’Università La Sapienza di Roma
Francesco Galietti Consulente strategico indipendente e
research fellow della University of Georgia, Globis centre
Paolo Messa Fondatore rivista Formiche e consigliere del
ministro dell’Ambiente
Paolo Savona Docente di Politica economica e presidente
del Fondo interbancario di tutela dei depositi

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