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Diritto d’autore/ Acta, nel metodo il difetto

Vi è una ragione di metodo (che poi diviene questione di merito), a render controverso l’Anti-counterfeiting trade agreement (Acta), l’accordo commerciale internazionale volto ad imporre agli Stati aderenti misure severe nella prevenzione e nella repressione delle violazioni della proprietà intellettuale. Per esporla è opportuna una premessa.
Nei Paesi democratici, le battaglie sulla rete e in difesa della rete, si combattono da tempo su due fronti normativi.
 
Il primo è proprio quello del diritto d’autore, nell’attuale estensione. Con l´ipertrofia dei diritti di sfruttamento economico su tutte le opere, il copyright risulta oggi incompatibile con le nuove modalità di produzione, circolazione e soprattutto fruizione dei contenuti in rete. Ogni ampliamento di tutela presenta in sé criticità.
 
Il secondo fronte è quello del diritto alla protezione dei dati personali, moderna e peculiare derivazione del diritto alla privacy. I vari contendenti sono schierati in geometrie variabili.
 
Le grandi Major dell’entertainment vorrebbero stanare ogni loro opera condivisa per bloccarla e ovviamente monetizzarla, e vedono nella tutela dei dati personali e nella riservatezza delle comunicazioni elettroniche un intollerabile impiccio.
Gli utenti del web vorrebbero liberamente (il che non vuol dire gratuitamente) accedere e condividere servizi e contenuti, e pretendono un´alta protezione dei loro dati, pur essendo loro stessi i primi e i più fedeli fornitori d’informazioni ai vari intermediari della comunicazione. Questi ultimi, i fornitori di accesso, i social network, le piattaforme di condivisione e i fornitori di servizi media audiovisivi, vero motore della rete (e dell’economia), sono spesso accusati dai titolari dei diritti di copyright di parassitario sfruttamento della pirateria, ai limiti del favoreggiamento, e sono additati agli utenti come ingordi fagocitatori di dati personali.
 
Entrambi, utenti e titolari, mal tollerano la ricchezza generata grazie alle loro informazioni profilate e ai loro contenuti condivisi, più o meno legittimamente.
È indubbio che la nuova società dell’informazione esige equilibri nuovi e in parte inediti.
 
La prima questione che con Acta si pone è se un semplice accordo commerciale soprannazionale finalizzato a tutelare una delle parti, i titolari del copyright, possa disegnare e imporre questi nuovi equilibri.
Tracciare i confini tra 1) la protezione dei diritti d’autore e dei diritti connessi, 2) la libertà di espressione – che assume oggi connotazioni nuove e si declina in rete nei diritti di accesso e di informazione-, 3)la libertà di impresa e 4)il diritto alla protezione dei dati e alla riservatezza delle comunicazioni, implica scelte “politiche” e non tecniche. Men che mai, scelte (solo) commerciali.
 
Nei Paesi democratici, e l’Europa è un passo avanti a tutti nella difesa dei diritti fondamentali, le limitazioni delle libertà testé elencate sottostanno al principio della riserva di legge: nel rispetto dei canoni di proporzionalità e necessità, solo una legge può prevedere “ingerenze” e restrizioni dei diritti e delle facoltà previste a livello costituzionale.
“La Carta [la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, art.52] esige non solo che la legge «preesista» a qualsiasi limitazione dei diritti e delle libertà, ma richiede altresì che tale limitazione rispetti il suo «contenuto essenziale», il che rende praticamente imprescindibile l’intervento del legislatore …” . Così l’avvocato generale Villalon nella nota causa Sabam/Scarlet avanti la Corte di giustizia europea. E precisa: “«legge» intesa come diritto «deliberato», vale a dire democraticamente legittimato”.
 
Se questa è la premessa, Acta nasce su presupposti errati, perché è il frutto della negoziazione di delegati governativi e di pochi qualificati portatori d’interesse. Si è tentato (inutilmente) di relegare la tutela della proprietà intellettuale a mero atto dell’esecutivo, cercando di evitare qualsivoglia dibattito politico e democratico sulle scelte e gli impegni assunti in negoziazioni riservate.
L’Italia ha sottoscritto Acta il 26 gennaio scorso, senza che tale adesione sia stata, non dico discussa, ma neppur resa nota.
La legge, “intesa come diritto «deliberato», vale a dire democraticamente legittimato”, è stata per lungo tempo del tutto estranea alla normativa che si voleva imporre agli Stati, e ai cittadini.
 
Il difetto di Acta, esasperato da anni di negoziazioni segrete e di reticenze, è dunque innanzitutto nel metodo. E il metodo si fa merito là dove l’enforcement dei diritti di proprietà intellettuale viene scientemente relegato a mero atto “tecnico”, con l’amministrativizzazione e la privatizzazione della tutela. Perché il tentativo di evitare il dibattito pubblico e dunque le strettoie della democrazia, trova ragione proprio nelle scelte di merito, sbilanciate e inaccettabili, che difficilmente passerebbero il vaglio di una valutazione “politica”.
 
Molte sono infatti le criticità presenti nel trattato, ma è sul tema dei diritti in rete che si è cercato di evitare ogni confronto. Internet è uno strumento straordinario di partecipazione: difficile per i parlamentari di qualsiasi nazione democratica sottrarsi alle legittime pressioni di cittadini ben informati. La vicenda S.o.p.a (Stop Online Piracy Act) negli Stati Uniti è significativa.
 
In Acta la previsione di sanzioni penali per violazioni dettate non solo dal fine di lucro, ma potenzialmente per il solo profitto, disconosce di fatto qualsivoglia legittimità nella condivisione in rete. L’accesso a dati personali concesso ai titolari dei diritti, o addirittura alle loro associazioni di categoria, per consentire la repressione delle violazioni annulla l’alta protezione che l’Europa vorrebbe costruire a tutela della riservatezza delle comunicazioni con le recenti proposte di regolamento. La subdola estensione delle responsabilità a livello di agevolazione e concorso per gli Isp rischia di accollare agli intermediari della comunicazione oneri e doveri di controllo che non possono e non devono avere se non si vuole minare uno dei fondamenti della rete, ovvero la sua neutralità.
 
Con Acta si è tentato (volutamente) sin dall’inizio dei negoziati di eludere il dibattito democratico sulla circolazione dei contenuti in rete.
Il tentativo è però fallito. In sede europea parte della Commissione ha prima cercato di evitare il confronto diretto in parlamento, poi, a fronte delle ferme prese di posizione di diversi gruppi parlamentari e di parte della società civile, la Commissione nel febbraio u.s. ha deciso di rimettere la valutazione di compatibilità del trattato alla Corte di Giustizia, tentando così ancora una volta di sottrarre il dibattito alle sedi democratiche, trasferendolo in sede giudiziaria.
 
Il Parlamento Europeo ha però evitato il “congelamento” della discussione ed il 27 marzo ha respinto la richiesta di rinvio in attesa della pronuncia della Corte.
Acta dovrebbe esser posto alla valutazione del Parlamento nella sessione plenaria del 2 luglio prossimo. Nel frattempo sul trattato si sono abbattuti gli strali del Garante della Privacy Europeo (Edps) che con il proprio parere del 24 aprile ha rilevato le evidenti incompatibilità delle misure previste con il diritto alla protezione dei dati.
 
Non è semplice prevedere quale sarà l’esito della discussione avanti il parlamento europeo. I diversi pareri in via di formazione delle varie commissioni sono, almeno delle bozze oggi circolanti assai disomogenei. Certo è che almeno nell’Unione Europea, il tentativo di sottrarre il dibattito alle necessarie sedi democratiche è fallito, ed è fallito grazie ad Internet e quella rete informativa costituita dalle università, dai centri di ricerca e dalle varie associazioni che generano nella società digitale nuove ed inedite modalità di partecipazione democratica.
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