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Le generazioni che non generano

Tra le cause con cui si spiegano i mali gravi del nostro tempo vi è di certo “il difficoltoso ricambio generazionale”. Nonostante tale rilievo dica tutto e il contrario di tutto, il numero degli anziani, dal punto di vista quantitativo, sta soppiantando a tal punto quello dei giovani che, se non interviene con rapida e dinamica efficacia un’inversione di tendenza nella rotta economica, politica e governativa del Paese, arriveremo presto al declino.
 
L’osservazione è legittima, quindi, anche se nel ragionamento vi è un inciampo lessicale che si nasconde dietro l’uso ambiguo ed effimero del termine “generazione”, atto a definire cose molto diverse. La classificazione per età riguarda, infatti, non l’universale casualità dell’essere nato, ma solo la peculiare ed esclusiva capacità di produrre, di far nascere, di originare qualcosa o qualcuno e poi di rinnovare il mondo. Gli anni raggruppano le persone, ma è realmente generativa, ossia in grado di incrementare l’esistente, soltanto la classe dotata di vigore sufficiente e di conveniente vitalità per farlo.
 
È basilare riconoscere insomma che ciascuno ha il proprio tempo, ma che non tutti siamo attivi allo stesso modo. Lo sono maggiormente coloro che definiamo appunto giovani, cioè sorti da poco e non ancora fiaccati dall’esperienza. Esiste una spiegazione esauriente quindi di tipo organizzativo alla cosiddetta crisi di civiltà. Il mancato ricambio generazionale tiene fisso illogicamente al vertice della comunità un gruppo sociale che per necessità di cose non può più apportare mutamenti, essendo ormai passivo.
Sebbene, quindi, sia inutile attendersi inversioni demografiche repentine o mutamenti rivoluzionari di mentalità, basterebbe accettare che la gerontocrazia è un principio di organizzazione errato perché assicura un’ineluttabile perdita di produttività. Mentre i giovani, per contro, costituiscono un valore in sé e l’unico rimedio possibile alla collettiva perdita di sprint. Ringiovanire, d’altronde, è una terapia che va intesa nell’interesse di chi generativo non può esserlo più senza la presenza di una nuova risorsa umana, creativa e fresca di iniziative.
 
Basta solo guardarsi attorno per capire che non vi è nulla di più eccitante in natura che il mistero del “venire alla luce”, dello scaturire. L’imprevisto è, infatti, il risultato ammirevole dell’emergere dal nulla di quanto non esisteva prima. E la non prevedibilità del futuro non esclude per niente sapere con precisione dove l’inedito possa germogliare. L’originale, infatti, viene solo da chi ha le condizioni effettive per suscitarlo.
L’estromissione dei giovani, in definitiva, rimuove a priori dalla società la sola possibilità rilevante: l’avvenire. Un problema essenzialmente bio-politico. Dato che, come spiegava Tommaso d’Aquino, “il nuovo può affiorare solo dal nuovo”.
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