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La tassa che piace ai cittadini

La pressione sulle finanze pubbliche aumenta e con questa lo scetticismo dei mercati finanziari; ovvero finanziare il debito è sempre più oneroso, se non proibitivo, ed è meglio attivare la nota e infallibile valvola di sfogo. Mentre i lavoratori iniziano a prendere confidenza con uno stile di vita ispirato al minimalismo (le buste paga, quando ancora disponibili, sono più eloquenti di Serge Latouche) si scopre che gli Stati membri hanno speso 4.600 miliardi di euro per salvare il settore finanziario. Lo stesso settore che, secondo la Commissione, è sotto-tassato rispetto ad altri settori dell’economia reale e che beneficia, ogni anno, di circa 18 miliardi di euro in vantaggi fiscali.
 
Nell’ambito del prossimo Quadro finanziario pluriennale, proprio la Commissione ha proposto una direttiva per introdurre, a livello Ue, un’imposta sulle transazioni tra istituzioni finanziarie quando almeno una di queste ha sede nell’Ue. Nonostante queste forme di tassazione esistano già in alcuni Stati membri, è indubbio che un’azione a livello Ue (in onore del prezzemolizzato James Tobin) potrebbe essere più efficace ed efficiente rispetto a un’azione condotta in maniera non coordinata dai ventisette. Dato il volume delle attività transfrontaliere, bisogna infatti evitare che diversi sistemi nazionali di prelievo fiscale possano incentivare fenomeni di arbitraggio aumentando ancora di più l’attuale frammentazione del mercato interno per i servizi finanziari.
 
Inoltre, l’imposizione di una nuova tassa potrebbe contribuire, a complemento della regolamentazione che l’Ue sta introducendo, a migliorare la stabilità del settore finanziario rendendo meno convenienti alcune attività rischiose che oggi albergano comodamente in alcuni istituti finanziari (ahimé non solo bad bank).
 
Secondo i calcoli della Commissione, applicando una tassa dello 0,1% sullo scambio di azioni e obbligazioni e dello 0,01% sullo scambio di contratti derivati nel 2010 ci sarebbero state risorse pari a 57 miliardi di euro e, se ci proiettiamo nel 2020, le stime arrivano fino a ben 81 miliardi. Seguendo la proposta della Commissione, qualora i due terzi degli introiti fossero destinati al bilancio dell’Ue, i ventisette Paesi ridurrebbero del 50% la contribuzione diretta oggi calcolata in funzione del rispettivo Reddito nazionale lordo. Nel 2020 il risparmio per i ventisette sarebbe di 54,2 miliardi di euro (6,5 miliardi solo per l’Italia): un toccasana per i bilanci nazionali.
 
Adesso la parola passa al Parlamento e al Consiglio. Il primo si è già mostrato in sintonia con la proposta della Commissione (anche sulla scia del sondaggio che vede il 64% dei cittadini europei favorevole alla tassa) e potrebbe ufficializzare la sua posizione nella plenaria del 12 giugno. Il Consiglio dovrà affrontare un percorso più sinuoso. Negli ultimi incontri del Consiglio Ecofin, i ministri responsabili per gli affari economici e finanziari hanno deciso di analizzare più in dettaglio la proposta della Commissione, esplorando anche eventuali soluzioni di compromesso e percorsi alternativi.
 
Già, per approvare la direttiva, il Consiglio deve raggiungere l’unanimità. Questione non banale considerando che le entrate generate sarebbero in gran parte raccolte in un numero limitato di Paesi in cui si concentrano le attività di negoziazione (la suscettibilità di Cameron sul tema denota quanto limitato sia il numero di questi Paesi). Questo potrebbe rendere più difficile il raggiungimento di un accordo sull’imposizione di una tassa, poiché tutti i Paesi dovrebbero imporla, mentre soltanto alcuni beneficerebbero del relativo gettito.
 
Nell’incontro del 21 giugno, il Consiglio riprenderà la proposta della Commissione alla quale ha chiesto una valutazione dei costi e dei benefici della tassa. Da un lato si teme che in assenza di consenso internazionale sull’applicazione di questo tipo di tassazione, le entrate promesse siano compromesse dalla delocalizzazione delle attività di negoziazione (diversamente dal lavoro, il capitale si muove con un click di mouse).
 
Dall’altro lato, il Consiglio europeo ha già dichiarato che “l’Ue dovrebbe guidare gli sforzi volti a stabilire un approccio globale all’introduzione di un sistema di prelievi e tasse a carico degli istituti finanziari nella prospettiva di mantenere una parità di condizioni su scala mondiale”. Un bel rompicapo per un’Ue che cerca di ritrovare la sua raison d’être.
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