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Premiare il merito ma senza merito-crazia

Insieme alla libertà, la meritocrazia costituisce l’altro luogo comune della politica italiana. Non esiste partito, a destra come a sinistra, che non si proponga di instaurarla.
Con qualche semplificazione, la merito-crazia dovrebbe attenere all’ordine delle tecnica, la demo-crazia a quello della politica. Ovviamente, il confine tra tecnica e politica è mobile perché anche il mezzo (la tecnica) può determinare il fine (la politica) e viceversa.
Come ho avuto occasione di approfondire nella rubrica Themis sulla rivista Formiche, personalmente sono convinto che occorra premiare il merito, anzi che sia necessario istituire – nella scuola e nel lavoro – sistemi premiali (onori, non quattrini) e un codice dei premi (che integri quello delle pene).
Tuttavia, coloro che professano il merito come fondamento dell’organizzazione sociale (giustizia) non riescono a convincermi del tutto.
Anche nella mia attività universitaria, non riesco a dimenticare la riflessione di J. Rawls: “Noi non ci meritiamo la posizione in cui ci siamo trovati quanto alla distribuzione delle doti di natura, non più di quanto abbiamo meritato il nostro punto di partenza iniziale nella società. Si può dubitare anche di quanto possiamo esserci meritata la maggior forza di carattere che ci ha permesso di impegnarci a coltivare le nostre capacità, e in effetti è dovuta in buona misura alle felici condizioni familiari e sociali in cui si è svolta la prima parte della nostra vita, per le quali non possiamo pretendere nessun credito. Qui il concetto di merito non si applica” (aml)
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