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Roma-Bruxelles, passando dalle regioni

Il presupposto delle politiche europee è che le tecnologie possano essere driver di sviluppo dei territori. L’approfondimento dei progetti-bandiera a livello europeo giunge in un momento opportuno, quando già sui nostri territori si è cominciata questa riflessione. Siamo infatti impegnati a delineare la programmazione dei fondi strutturali 2014-2020, quindi credo che sia giusto capire in che contesto ci collochiamo e quali possano essere le linee di sviluppo di questa riflessione. La chiave scelta dall’Unione europea sta nel collegamento tra sistema di eccellenza europeo Horizon 2020 da una parte e i fondi strutturali che producono capacity building sui territori dall’altra. Il link è la logica della smart specialisation. Questo è il quadro di riferimento che ci deve guidare.
 
La smart specialisation guida la costruzione del sistema di eccellenza europeo attraverso Horizon 2020 (che è poi lo strumento di attuazione dell’Unione per l’innovazione attraverso i fondi strutturali); i fondi strutturali servono a costruire la nostra capacità competitiva sui territori, in modo che possano entrare nel sistema di eccellenza europeo. Se davvero la connessione è la logica della specializzazione intelligente, allora è il territorio a essere protagonista, perché questa specializzazione si crea sul territorio (smart cities, smart communities, ecc.). Tutto si gioca a questo punto sulla capacità – che non può essere sviluppata solo dal livello regionale, ma necessita del livello nazionale – di costruire leadership su alcune tematiche: leadership che prima devono essere nazionali, e poi ambire a diventare europee.
 
Su cosa costruiamo questa leadership? A partire dalla forte integrazione di tutti gli strumenti e politiche europee nella logica della smart specialisation, agganciamo dunque questa specializzazione intelligente a una lettura dei bisogni, presenti e futuri, quindi alle sfide della società: con questa dimensione si completa il quadro della strategia europea, che almeno a livello di sistema appare abbastanza chiara, per quanto ci siano ancora molte fasi prima della predisposizione definitiva.
 
Noi dunque entriamo in gioco, in maniera pesante, nella costruzione di queste vocazioni alla specializzazione intelligente che nascono sul territorio, nel presupposto che sul nostro territorio ci siano comunità portatrici di saperi e capacità, fatte da imprese, di ricerca e di pubblica amministrazione, in grado di mettersi in gioco su determinate tematiche. Il nostro ruolo si intreccia poi con la programmazione dei fondi strutturali che saremo chiamati a fare. È ovvio che è una partita in cui noi dobbiamo essere protagonisti in un quadro nazionale, perché non possiamo e non dobbiamo pensare di fare da soli. È inutile nascondere il fatto che le problematiche di alcuni territori in termini di capacità di impegno e di spesa peseranno molto sulla nostra capacità negoziale come Paese, quando negozieremo i fondi strutturali. Per così dire, rispondiamo in solido della nostra capacità di performance della programmazione che si conclude nel 2013, e questo ci fa capire che siamo un Paese. Non possiamo pensare che anche la logica di costruzione della smart specialisation − che poi sarà la chiave di accesso alle risorse europee − possa essere fatta prescindendo dal livello nazionale.
 
Come Regione Toscana, nel contesto di una iniziativa di riflessione da noi organizzata a Bruxelles, abbiamo già discusso delle call che il ministero dell’Istruzione e della ricerca sta portando avanti − quella recente sui cluster industriali e la prossima sulle smart communities. Ciò è una chiave importante di strumenti di governance. Il modo con cui risponderemo a queste call condizionerà molto lo sviluppo futuro e le modalità in cui potremmo rapportarci alla programmazione europea. Credo sia giusto cercare di governare questa partita a livello nazionale. La mia preoccupazione è che si governi fino in fondo. Questa chiamata di soggetti a presentare progettualità importanti su temi che ricadono nell’ambito delle sfide sociali o delle tecnologie abilitanti, potrà fare emergere sicuramente potenzialità dei nostri territori; potenzialità che possono essere valorizzate e che non devono essere perse. Questa capacità che abbiamo sui nostri territori deve essere letta, mappata e valorizzata in una logica di rete e di infrastrutturazione nazionale, che possa concorrere all’infrastruttura europea. Nulla, dunque, deve essere perso. Si tratta cioè di tenere insieme i territori e valorizzare al massimo le loro potenzialità.
 
Senza scadere in banali contrapposizioni, è questo il momento di mappare le eccellenze della nostra ricerca e della nostra industria a livello nazionale. Anche le pubbliche amministrazioni, governi, regioni ed enti locali, devono partecipare alla competizione. A questo proposito, e nell’ottica dell’Agenda digitale europea, non mancano piattaforme anche a livello regionale e locale, ma spesso non si riesce a connetterle in modo da dare un vero valore aggiunto ai cittadini. Penso alla Pec, la posta elettronica certificata, ma anche alla Carta nazionale dei servizi, che già esiste in molte realtà e garantisce accesso a numerosissimi servizi e che pure, ora, rischia di essere rimessa in discussione dalla successiva evoluzione: quella della carta di identità digitale. È dunque necessario avere attenzione a ciò che oggi riusciamo già ad esprimere: con un occhio alle opportunità emergenti dalla smart specialisation.
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