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L’ingorgo istituzionale

Quello che chiamiamo ingorgo istituzionale non è una incertezza procedurale ereditata dalle spagnolesche invenzioni del presidente Enrico De Nicola quando pretendeva che spettasse a lui e non al capo dello Stato eletto dal primo parlamento repubblicano il diritto di nomina del nuovo presidente del consiglio dei ministri. Non è neppure quella nauseante ostruzione opposta, da alcuni pm minoritari dell’ordine giudiziario, alla stessa agenda parlamentare in materia giuridica e che aggrava penosamente il carico dei processi civili e penali. Potrebbe essere, ma così non è, un tentativo di funzionari dello Stato al di sopra d’ogni regola di controllo democratico che intercettano le telefonate del presidente della repubblica con una disinvoltura pari alla loro arroganza.
 
L’ingorgo istituzionale è un dato oggettivo del sistema ordinamentale fissato dalle norme costituzionali originarie, già noto ai padri costituenti (o almeno a quelli più avveduti e che non badavano a piegare la magna cartha ad interessi di parte o addirittura personali). Una volta stabilito che la durata normale delle amministrazioni locali dovesse essere quadriennale; che quella della camera dei deputati dovesse limitarsi a cinque anni e quella del senato a sei, mentre l’incarico del capo dello Stato dovesse essere contenuto in un settennato, era logico che, a determinate scadenze temporali (ogni ventisette anni, se non rammento male), si sarebbe verificata automa¬ticamente una sovrap¬posizione fra conclusione di una legislatura e cessazione del settennato presidenziale. Con effetti conseguenti.
 
Lo scioglimento anticipato del senato nel 1953 e la contemporanea modifica costituzionale, con la quale la durata della camera alta venne equiparata a quella della camera dei deputati, alterò la iniziale prevista coincidenza fra termine di una legislatura e fine di un settennato presidenziale. Con le anticipate dimissioni di Segni (dopo solo due anni e mezzo di presidenza) e quelle di Leone (perché sottoposto ad una volgare aggressione di una giornalista e dei dirigenti radicali), il conteggio degli anni in cui si sarebbero sovrapposti il fine legislatura con il fine settennato risultò ulteriormente modificato rispetto alle decisioni della assemblea costituente: con la conseguenza che ciò che era stato nel 1947 pacifico, successivamente venne lasciato alla interpretazione dei legulei, anche se non costituzionalisti di rango.
 
L’art. 85 Cost., 2° comma, prevede che «se le camere sono sciolte, o mancano meno di tre mesi alla loro cessazione, la elezione [del capo dello Stato, nda] avrà luogo entro quindici giorni dalla riunione delle camere nuove. Nel frattempo sono prorogati i poteri del Presidente in carica». Dunque, la legge non pone limiti alla rieleg¬gibilità, per cui teoricamente il Presidente può essere riconfermato nella carica, ma attraverso una momentanea prorogatio. In virtù di tale teoricità, tutti i presidenti della repubblica italiana (ad eccezione di Segni e di Leone, per quanto prima detto, nonché di Cossiga) non disdegnavano una rielezione. Ma i costituenti non intesero tramutare la presidenza in una carica vitalizia: per gli inconvenienti e i pericoli che vi sono connessi di trasformarla in una monarchia.
 
Perciò, evitando di lasciarlo statuito con specifico comma, lasciarono alla sensibilità dei presidenti in scadenza di considerarsi paghi di un incarico settennale con qualche settimana in meno. Tanto più che i confronti fatti con altre esperienze democratiche prima di prendere la decisione finale sull’articolo specifico, avevano riguardato gli esempi di Washington, di Jefferson e di Roosevelt, il cui mandato, però, era di quattro anni che, col loro raddoppio, complessivamente rappresentano pochi mesi in più dei settennati italiani.
 
Fu Francesco Cossiga che, nel 1992, sollevò il problema dell’ingorgo istituzionale: non per tentare di essere rieletto ma, al contrario, per dimettersi prima del tempo e lasciare ad un altro capo dello Stato, eletto da un nuovo parlamento, a scadenza naturale, il privilegio di nominare un nuovo presidente del consiglio.
 
Per il 2013 si prevede una situazione analoga a quella del 1992, particolarmernte sotto il riguardo politico: fra qualche mese, come allora, è prevedibile una forte mutazione della geografia parlamentare. Al di là delle teorie e dei precedenti stranieri, obbiettivamente non invocabili per il caso italiano, la sensibilità del presidente Napolitano, più volte manifestata specie negli ultimi mesi, porta ad escludere ch’egli voglia forzare l’ingorgo istituzionale solo per tornare a nominare Monti per la guida di Palazzo Chigi.
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